C’è "La Toscana delle Donne". Per dare voce al merito e al talento

Cristina Manetti, l’ideatrice: "Una nuova idea di umanesimo grazie a una maggiore giustizia sociale"

di Teresa Scarcella

FIRENZE

Parte oggi la seconda edizione de "La Toscana delle Donne", manifestazione fortemente voluta dalla Regione che quest’anno ha un titolo simbolico: "Umanità". Proviamo a capire quali sono gli spunti di riflessione che il festival vuole solleticare insieme all’ideatrice e alla ’regista’ Cristina Manetti, capo di gabinetto della Regione Toscana.

Da quale esigenza nasce?

"Prima ancora che un grande evento, è un progetto trasversale che chiama in causa tutte le politiche e si propone di fare della nostra regione un laboratorio per l’Europa. Vogliamo affermare la Toscana dei diritti, ma anche dei meriti riconosciuti e dei talenti che si possono mettere a frutto: una questione di giustizia e di dignità per le donne a vantaggio della società".

La domanda sorge spontanea: la società è delle donne?

"La strada è lunga, ma credo sia quella giusta. Molto abbiamo fatto e molto ci resta da fare. Abbiamo la convinzione che una società dove la parità di genere è assicurata sia più vantaggiosa per tutti. Non a caso la parola che campeggia quest’anno è “Umanità”. È il titolo di una scultura di Sauro Cavallini, ma si ricollega alla convinzione che affermare la donna, riconoscerla nei suoi diritti e nei suoi talenti, significa promuovere un mondo più umano, contrastare tutto ciò che va in direzione di una disumanizzazione. Vale per gli ambienti di lavoro come per gli scenari internazionali, oggi segnati da orribili guerre. La donna genera vita, non morte. Dalla donna può partire una nuova idea di umanesimo".

L’edizione è dedicata alle competenze e alla libertà. Quanto le donne sono libere di dimostrare le proprie competenze?

"Per quanti risultati siano stati raggiunti, gli stereotipi ci sono e condizionano ancora molto. Le competenze pesano in modo diverso e finché sarà così non dovremo fare solo i conti con meriti non riconosciuti come sarebbe giusto, ma anche con uno spreco di talenti. Non ce lo possiamo permettere, soprattutto in tempi di crisi, nonché di un’accresciuta competizione a livello globale che potrebbe ridisegnare la geografia del mondo. Non è un caso che il filo conduttore sia proprio le competenze, nell’anno europeo a esse dedicato e nell’anno in cui due Premi Nobel sono stati assegnati a donne che tanto hanno contributo alla promozione dei diritti. Non potevamo non ispirarci".

Sul lavoro, come si raggiungono politiche concrete di pari opportunità e welfare, se chi prende le decisioni, nella maggior parte dei casi, non conosce le esigenze delle donne?

"I dati parlano da soli, per esempio riguardo ai differenziali di reddito. Anche laddove mancano specifiche politiche per problemi specifici i problemi rimangono tali. Penso alle pensioni: il governo ha inteso liberarsi di strumenti che andavano incontro alle traiettorie di vita e di lavoro delle donne. Una formale uguaglianza può essere il presupposto di diseguaglianze sostanziali e in questo caso andrebbe considerato il peso specifico della diseguaglianza che le donne si portano dietro perché, per esempio, avere avuto sulle spalle le cure familiari comporta meno contributi. In genere poi la diseguaglianza produce ulteriore diseguaglianza. A questa spirale si può reagire con una diversa cultura, capace di impregnare anche i luoghi del lavoro".