Vive nel “maggio francese“ la storia di Bohème, affresco musicale di Giacomo Puccini dedicato alla gioventù, alla spensieratezza, ai sogni e all’amore, che questa sera inaugura il Festival Puccini al Gran Teatro di Torre del Lago. Il regista Christophe Gayral propone una nuova lettura del capolavoro pucciniano, con una trasposizione temporale che colloca il melodramma tra il Natale del ’67 e i primi mesi del ’68. E i fermenti di ribellione dei giovani francesi dell’epoca sono riconoscibili nella scenografia ideata da Christophe Ouvrard e nei costumi firmati da Tiziano Musetti. Sul podio il maestro Alberto Veronesi.
In scena il poeta Rodolfo interpretato da Oreste Cosimo; il pittore Marcello, Alessandro Luongo; il musicista Schaunard, Sergio Bologna, il filosofo Colline, Antonio Di Matteo. Quattro amici squattrinati che ogni giorno devono ingegnarsi per combattere il freddo e la fame, ma, forti della loro profonda amicizia, affrontano con spirito goliardico ogni problema. Alla complicità di questa fratellanza, si aggiunge l’emozionante storia tra Mimì, Claudia Pavone, che sostenuta da Musetta, Federica Guida, vive la passione con Rodolfo. Fino al tragico finale. Con Mimì muore un’epoca, un amore, un sogno.
"La nostra Bohème inizia nell’inverno del 1967 – svela il regista parigino –. Saremo in un una comune d’artisti, sui Grand Boulevard davanti al Café de Flore, uno squallido cabaret per turisti a Pigalle. È un freddo Natale in cui si intravedono gli inizi di questa rivoluzione sociale dell’amore. E per me – prosegue Gayral – il 1968 è stato un momento emblematico della storia, in cui anche i giovani come Rodolfo e i suoi amici, musicisti, filosofi e pittori, hanno voluto credere in nuovi ideali e nuovi valori. L’opera di Puccini ci tocca profondamente con il suo melodramma perfetto, ma anche con i suoi personaggi sinceri e intramontabili. Questi “bohémiens” senza tempo: giovani, poveri, artisti, emarginati, ma soprattutto persone entusiaste della vita. Sfruttare al massimo il momento, perdersi nell’amore, godersi i piaceri senza mai preoccuparsi del domani, ubriacarsi di vino e di carezze, è l’incarnazione della gioventù che fa del carpe diem una gioiosa filosofia di vita".
Ma la primavera infrange il sogno: Mimì e Musetta hanno lasciato i loro amici in cerca di una vita più semplice "E l’ultima scena, illuminata dal caldo sole primaverile del “maggio ’68” – conclude Gayral – riscalda tragicamente il cuore di Mimi che rimpiange, troppo tardi, la leggerezza di quella vita bohémien. Non c’è modo di fermare il corso della storia, che lascia i suoi personaggi in disparte. Ma solo fine alla prossima rivoluzione".
Martina Del Chicca