MAURIZIO COSTANZO
Cosa Fare

Giovedì Santo in Toscana tra fede e tradizione: i ‘sepolcri’ e il giro delle 7 chiese

Il primo pellegrinaggio risale a San Filippo Neri. A San Casciano il Sepolcro delle Vecce

Sepolcro (foto Ansa)

La sera del Giovedì Santo con la messa in Coena Domini (messa nella Cena del Signore), inizia il solenne Triduo Pasquale. Si adora l’Eucaristia fino a mezzanotte, dopodiché si entra nel venerdì in cui si ricordano la Passione e morte di Cristo. E torna una tradizione popolare di stampo cattolico: la “visita ai sepolcri” o “alle sette chiese”, che nella sera del Giovedì Santo, porterà molti fedeli a visitare le chiese della propria città, con gli altari adornati con fiori a profusione. E chi non ha la possibilità di visitare sette chiese di solito entra e esce dalla stessa, come accade nei piccoli paesi. La tradizione delle sette chiese, che ricorda le sette basiliche romane, risale a San Filippo Neri, che intendeva far allontanare i fedeli dalle “seduzioni” del carnevale romano.

In origine la processione durava due giorni, durava venti chilometri, iniziava dalle quattro basiliche maggiori di Roma e proseguiva in altre tre chiese simboliche della capitale. Chi non vive a Roma e non può recarsi in Terra Santa, per ottenere l’indulgenza plenaria, può realizzare il giro delle 7 chiese nella sua città. Il primo pellegrinaggio alle Sette Chiese avvenne il 25 febbraio del lontano 1552.

La visita ai sepolcri è molto radicata in Toscana. A San Casciano c’è l’antica tradizione floreale-religiosa del Sepolcro delle Vecce. Nelle chiese del Suffragio e della Misericordia rifiorisce lo spettacolo che simboleggia il passaggio dalla morte alla rinascita di Gesù. Protagonisti i colori e le forme delle ricche composizioni floreali costituite da vecce e grano misti a fiori e piante di stagione quali gardenie, calle, margherite, begonie, ortensie azalee, gerani. La veccia, in origine conosciuto come fiore povero, è una pianta erbacea delle leguminose con foglie pennate terminate da un cirro e fiori ascellari, destinata all’alimentazione del bestiame, che in assenza di ossigeno e clorofilla germoglia piccoli e finissimi fili bianchi. A San Casciano la tradizione vuole che la veccia venga seminata, un mese prima, corrispondente alla terza domenica di Quaresima e tenuta nelle cantine il cui ambiente umido favorisce la nascita di quelle che poi si tramutano in sorta di parrucche bianche utilizzate per la commemorazione a scopo ornamentale ma anche simbolico-religioso. I fili bianchi rappresentano, infatti, la morte del Cristo e ad essi si contrappone il grano che diversamente indica la rinascita.