Fanno riflettere i dati su bullismo e vittimizzazione che emergono dal monitoraggio ‘Elisa’ in Toscana, progetto del ministero dell’istruzione con l’Università di Firenze coordinato dalla professoressa Ersilia Menesini. Raccolti tra il 2022 e il 2023, su un campione di 8.719 studenti di 35 scuole superiori, raccontano rapporti difficili tra adolescenti e giovani in un incremento costante di anno in anno di alcune forme che non può che preoccupare. La prevenzione, commenta Annalaura Nocentini, professoressa associata di psicologia dello sviluppo e dell’educazione dell’Università di Firenze, è ancora più fondamentale e deve iniziare in età precoce.
Professoressa Nocentini, quali sono i dati principali dell’ultima indagine?
"Il 28% dei giovani interpellati dichiara di essere oggetto di bullismo, quello che definiamo ’vittimizzazione’. Di questa percentuale il 22% afferma di esserlo in modo occasionale, il 6% in modo sistematico. Il 18% riguarda invece il bullismo ’agito’, ragazzi che ammettono di aver perpetrato tali comportamenti nei confronti di altri, alcuni dichiarano di averlo fatto in modo occasionale (il 15%), altri in maniera sistematica (3%)".
Sono dati in linea con il monitoraggio nazionale?
"Sì. Questa indagine che stiamo portando avanti dal 2020, partendo dal post lockdown, non è longitudinale, cioè non segue la stessa platea di ragazzi nel tempo, ma fotografa ogni anno il mondo delle scuole secondarie, registrando sia a livello toscano che nazionale un incremento nel tempo: sul fronte vittimizzazione, siamo passati dal 22% circa del 2020 al 27% di oggi".
Cosa è cambiato negli anni?
"E’ aumentata la sistematicità degli episodi, cioè episodi che si protraggono nel tempo. Sempre più giovani dichiarano di subire questi atti più volte a settimana. È un indicatore di gravità. Si mantengono invece stabili nel tempo gli episodi di cyberbullismo".
Si denuncia più facilmente?
"Sì, grazie a una maggiore sensibilizzazione che ha portato a riconoscere certi comportamenti, a dare loro un nome e aumentare la consapevolezza e dunque la denuncia".
Cosa fare per prevenire?
"Nelle scuole ormai se ne parla in modi e progetti diversi ed è positivo, ma bisognerebbe farlo con continuità nel tempo. Questo può fare la differenza".
E in famiglia?
"Dovrebbe essere una componente fondamentale nella sensibilizzazione a partire dall’età scolare più precoce, fin dalla primaria. La letteratura scientifica indica che il culmine del fenomeno si raggiunge in seconda-terza classe della scuola secondaria di primo grado, per poi andare lentamente a decrescere nella scuola superiore, dove però aumenta la gravità degli atti. Bisogna prevenire prima ed avere interventi efficaci per la gestione degli atti nelle scuole secondarie".