La sua adolescenza è stata segnata dalla lotta contro un tumore alla gamba. Ma si è rialzato e ora è passato dall’altra parte della ‘barricata’, diventando chirurgo ortopedico. La storia di Simone Colangeli, romano di nascita, toscano di adozione lavorativa (vive a Prato e lavora a Torregalli a Scandicci) raccontata ne "La vita è una corsa impazzita verso la felicità’ edito da Albatros , commuove e dona speranza.
Dottore, quando ha scoperto di avere un osteosarcoma?
"Avevo 11 anni. Sembrava una semplice contusione alla coscia, ma poi è arrivata la diagnosi, difficile da accettare. Per 4 anni ho fatto la spola tra Roma e Bologna, in cura al Rizzoli. Sono stati anni difficili anche per i miei genitori e mio fratello minore Marco. Ma a 15 anni ho potuto dire di avercela fatta" .
Perché ha deciso di diventare medico?
"Sono stato curato da grandi professionisti, dei geni e dei grandi uomini, i miei ’supereroi’: il chirurgo Mario Campanacci e l’oncologo Gaetano Bacci. Ho seguito il loro esempio e come me anche mio fratello, ortopedico al Rizzoli, l’ospedale che mi ha curato e dove anche io mi sono specializzato e ho lavorato. Essere diventato medico è stato anche un riscatto, per me e la mia famiglia".
Ora ha cambiato settore.
"A Torregalli lavoro nella chirurgia delle patologie scheletriche degenerative. Ho lasciato l’oncologia dopo tanti anni".
La sua esperienza le ha dato qualcosa in più rispetto ai suoi colleghi?
"So cosa provano i pazienti e cosa devono affrontare: questo significa poter spiegare loro il percorso verso la guarigione, quello vero, nel bene e nel male, e anche poter dare loro iniezioni di speranza, cosa che voglio continuare a fare con questo libro".
Da dove nasce il titolo?
"In uno dei periodi più difficili delle cure, non riuscivo a parlare e scrivevo per comunicare coi miei genitori. Il titolo è una delle frasi che scrissi allora: per me, adolescente tra terapie e ospedali, la vita era una grande corsa impazzita e incomprensibile con l’unico obiettivo della felicità"
Ora ha raggiunto la felicità?
"Sono vivo, sano, faccio il lavoro che amo sull’esempio di chi mi ha salvato, curo le persone. Ho una moglie e due figli che adoro: la mia vittoria più grande. Sì, sono felice".
Manuela Plastina