GIOVANNI ROSSI
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Il disastro nucleare di Fukushima L’acqua contaminata finisce in mare

Il via libera di Tokyo: domani scatterà l’operazione programmata per svuotare le vasche . L’ira della Cina: stop all’importazione di prodotti. Ma gli scienziati assicurano: nessun rischio per la salute. .

Il disastro nucleare di Fukushima L’acqua contaminata finisce in mare

di Giovanni Rossi

La Cina protesta. Il Giappone non cede. Sulle acque radioattive di Fukushima ormai prossime allo sversamento nel Pacifico il Dragone alza la voce. La convocazione al ministero degli Esteri cinese dell’ambasciatore nipponico a Pechino "per solenni rappresentazioni" non è solo fumo di scena. La Cina "esprime seria preoccupazione e forte opposizione" nei confronti di una scelta "estremamente egoista e irresponsabile" che "trasferisce in modo palese il rischio di inquinamento nucleare ai Paesi vicini", senza garantire "il benessere a lungo termine delle persone nella regione e nel mondo". Più cauta la Corea del Sud. Pechino "adotterà tutte le misure necessarie per proteggere l’ecologia marina, salvaguardare la sicurezza alimentare e la salute pubblica". È quasi la stessa linea di Greenpeace che accusa Tokyo di violare "i diritti umani delle comunità che vivono in Giappone e nella regione del Pacifico" ignorando "le preoccupazioni delle persone, incluse quelle dei pescatori". E proprio nel Paese del sushi. Polemiche fortissime che ora investono il premier Fumio Kishida.

Domani, quindi già nella notte italiana, l’oceano raccoglierà le prime acque radioattive del disastro di Fukushima, dodici anni dopo lo tsunami che l’11 marzo 2011 scatenò un incidente nucleare di categoria 7. Un’onda alta 14 metri scavalcò le barriere di protezione della centrale impedendo ai sistemi di sicurezza di emergenza il raffreddamento dei reattori spentisi per il terremoto di 40 minuti prima.

Attraverso un condotto che sfocia a un chilometro e mezzo dalla costa, finiranno nel Pacifico le prime tonnellate di acqua contaminata da residui di trizio. Appena un anticipo degli 1,34 milioni di tonnellate, l’equivalente di quasi 540 piscine olimpiche accumulatosi nel tempo in più di mille vasche giganti. Ogni vasca contiene un mix di acqua utilizzata per raffreddare i reattori danneggiati, acque sotterranee contaminate a seguito di sisma e tsunami, acqua piovana catturata sul posto. Dei 64 radionuclidi, 62 sono rimossi – prima del rilascio – attraverso un particolare procedimento denominato Alps. Restano però da smaltire carbonio-14 e trizio. Per questo motivo il protocollo prevede che, prima di ogni sversamento, l’acqua triziata sia ulteriormente diluita con acqua di mare. Di conseguenza, secondo i fisici della Tepco, confluirà nell’oceano solo acqua con radioattività inferiore a 1.500 becquerel per litro, molto al di sotto del limite raccomandato dall’Oms, pari a 60mila bql per questa categoria di acqua e a 10 mila bql per l’acqua potabile. Scartata l’ipotesi di far evaporare le vasche (come nei desideri di Russia e Cina) per ragioni di tempo e di costi.

La svolta ha l’avallo dell’Aiea (l’Agenzia internazionale per l’energia atomica). L’ok un mese fa. È l’opzione "meno dannosa", conferma Tony Hooker, esperto australiano di radiazioni, uno dei cinque componenti del Forum consultivo delle isole del Pacifico a lungo interfacciatosi con il governo di Tokyo e i responsabili della Tepco. "Il quantitativo di materiale radioattivo è a livelli tali che non avrà alcun impatto sull’ambiente. Non ci sono rischi, i livelli di radioattività sono molto bassi e la comunità scientifica è unanime nell’affermarlo", concorda Alessandro Dodaro, direttore del Dipartimento sicurezza nucleare dell’Enea. Davvero non c’è alcun pericolo? Per Valerio Rossi Albertini, fisico del Cnr, la scelta giapponese rappresenta comunque una "extrema ratio": "Perché, se è vero che l’Oceano Pacifico è immenso e l’acqua verrà diluita rapidamente, è altrettanto vero che lo sversamento avviene in un punto preciso ed lì, in quel braccio di mare, che si possono verificare problemi sull’ecosistema marino". La speranza è che "le correnti oceaniche svolgano effettivamente il loro ruolo".

Nel dubbio, non potendo escludere parziali contaminazioni, il governatore di Hong Kong John Lee ha disposto il divieto "a tempo indeterminato" di importazioni di prodotti del mare da ben dieci prefetture nipponiche. Un’area molto più vasta.