Arezzo, 8 novembre 2024 – All’interno del libro «La versione di Cochi» che Aurelio Ponzoni presenterà stasera alle 21 al Foiano Book Festival, ci sono sessant’anni di spettacolo, teatro, cabaret, cinema, tv, e nell’immaginario degli italiani. Appuntamento nella Sala Furio del Furia anche con il giornalista Paolo Crespi.
Cochi Ponzoni, la sua popolarità è strettamente legata a quella del socio e amico di una vita Renato Pozzetto, per questo ha scritto adesso La versione di Cochi?
«La nostra coppia era formata da due persone molto amiche che sono cresciute insieme fin dall’infanzia ma completamente diverse dal punto di vista caratteriale e degli interessi. Io ero orientato verso un mondo che non era quello di Renato, La versione di Cochi è il racconto della mia personalità rispetto a quella del mio amico Pozzetto».
Il libro, scritto con la collaborazione di Paolo Crespi, è un memoir che trascina il lettore nella vita di Cochi a partire dai ricordi d’infanzia e della guerra fino alle avventure artistiche più recenti, ma si aprono anche squarci inediti sulla vita di una delle personalità più note e riservate della scena italiana, come nasce?
«Da un diario che avevo fatto privatamente per le mie 4 figlie: pensavo fosse il caso che loro conoscessero tutti i problemi e le fortune che ho avuto nella vita, così che un domani avrebbero potuto conoscermi meglio, ma lì finiva il mio scopo. Poi Paolo Crespi è venuto a farmi un’intervista molto dettagliata e successivamente senza che lo sapessi è andato a proporre un eventuale libro a Elisabetta Sgarbi che si è mostrata molto vogliosa di fare un libro delle mie memorie. Ci ha chiesto di trasformare l’intervista in racconto e così abbiamo fatto insieme. Il libro racconta la mia vita da bambino con velleità attoriali a quello che poi è successo, il compagno di infanzia Renato e la voglia di cantare, fino a tutto il successo arrivato in modo abbastanza naturale».
La carriera di Aurelio «Cochi» Ponzoni ha preso strade diverse, sia per quanto riguarda il cinema, sia a teatro. Si è espresso in tutta la gamma dei registri e situazioni, in ruoli tradizionali, e in altri più sperimentali. Musica, cabaret, teatro, scrittura, c’è un’arte a cui è più legato?
«Chiaramente il mio passato televisivo e cabarettistico è quello che mi ha dato più soddisfazioni e poi la carriera come attore di teatro mi ha gratificato molto, è quello che volevo e speravo di fare fin dall’inizio. Ma anche l’avventura cinematografica è stata bellissima».
Dagli orfani del mitico Derby Club ai giovani spettatori delle ultime avventure, non solo teatrali, il suo pubblico attraversa le generazioni?
«Sono passati 60 anni, siamo rimasti sia io che il mio amico Renato nell’immaginario di un pubblico di un’età variegata. Non solo i nostri coetanei, ma anche i ragazzi giovani sono interessati a noi. Vale anche per quello che ho fatto dopo, basti pensare che la presentazione del mio libro a Foiano sarà la 120esima e non finisce qui. Continuano a chiamarmi in tutta Italia. E’ per me un modo per far rivivere al pubblico un periodo storico irripetibile di una Milano del dopo guerra, del cinema anni 70’ di un certo tipo e del teatro che ho fatto fino all’anno scorso. Sto continuando a portare in giro la storia come ultimo sopravvissuto, di quel gruppo di persone che hanno portato il Derby di Milano e un’ondata di cabaret sfociata nella televisione, al successo. Ma anche la tv fatta con Renato nel 2000 con la serie Nebbia in val padana, e le tournee a teatro lunghe 14 anni in cui abbiamo riproposto le nostre vecchie canzoni. In paralleloho fatto teatro e film, non mi sono fatto mancare nulla».
Oggi viviamo nel mondo del politicamente corretto, è difficile fare cabaret e ironia rispetto al passato?
«Basta sentire i monologhi di certi comici di oggi, non si stanno tanto a preoccupare della censura nel linguaggio, che non è così attiva. Il cabarettisti si lasciano andare, anche il fatto del politicamente coretto non è molto rispettato e io sono d’accordo che ci sia libertà di linguaggio, anche se la volgarità non paga».
Con Pozzetto siete diventati campioni di una comicità surreale, fatta di gag fulminee, monologhi nonsense, canzoncine (Canzone Intelligente, La gallina, Libe-Libe-Là, Nebbia in Val Padana e E la vita, la vita) e scenette divertenti, c’è nei comici di oggi un erede?
«Nel nostro modo di esprimerci dal punto di vista del linguaggio abbiamo fatto qualcosa di irripetibile era talmente personale e originale che non potrei dire che abbiamo degli eredi, ma ci son molti comici bravissimi come Aldo, Giovani e Giacomo, Albanese o Zalone che hanno un altro tipo di impostazione ma sono altrettanto divertenti».