Quando si perde il senso del tempo e della storia, tutto viene appiattito sul qui e
ora, l’io diventa fortemente autocentrato, si moltiplica la sovrapposizione di monologhi e si produce la frantumazione del noi: i legami si sfilacciano, le comunità si dissolvono e viene meno ogni visione di futuro collettivo. È tenendo presente queste dinamiche che ritengo vada letto il fenomeno della denatalità, ma anche quello di un approccio parziale e ideologico al fenomeno
migratorio, nonostante che la nostra società abbia bisogno di immigrati proprio a
causa della crescente denatalità. La questione vera, da affrontare con spirito nuovo, consiste nel governare il fenomeno migratorio per creare interazione, inclusione e integrazione. I processi di accoglienza, formazione, inserimento nel lavoro, pur necessari di linee generali, debbono essere declinati con duttilità nella concretezza dei diversi contesti territoriali.
Le resistenze all’accoglienza, qualsiasi tipo di accoglienza, generalmente nascono dal sentirsi deboli, vulnerabili. Questo ci porta a dire che una società anziana, in genere, è più timorosa, più difensiva, meno desiderosa e disponibile ad affrontare nuove dinamiche.
Pertanto, la stessa accoglienza degli immigrati e la programmazione del loro
governato inserimento, potranno diventare più problematici con l’invecchiamento
della popolazione. Però, come dimostrano le statistiche e come è stato chiaramente
messo in luce anche da La Nazione, è proprio
per l’invecchiamento della popolazione che accogliere, interagire e includere, più che
una scelta, appare sempre più una necessità. È dunque indispensabile un supplemento di pensiero e di saggezza,
cominciando ad ascoltarsi con l’obbiettivo di individuare i percorsi utili per il
necessario e governato inserimento di persone straniere. Ed è bene farlo, senza aspettare di essere ulteriormente infragiliti.
don Giovanni Momigli
Direttore Ufficio
Problemi Sociali
Diocesi Firenze