di Andrea Spinelli
Dal novembre di due anni fa, quando il Rough Rowdy Ways World Wide Tour che Bob Dylan porta giovedì e venerdì prossimi al Lucca Summer Festival e a Perugia, nella cornice di Umbria Jazz, ha preso la strada dal Riverside Theater di Milwaukee, la liturgia è rimasta più o meno la stessa: focalizzata sull’ultimo album dell’hobo di Duluth e ostinatamente insofferente alle pietre filosofali del suo lungo cammino. Vera e propria anomalia per un artista legacy come lui, che nel 2020 ha venduto alla Universal il suo catalogo editoriale, circa 600 canzoni, per una cifra stimata tra i 300 e i 400 milioni di dollari, e lo scorso anno a Sony quello delle registrazioni per qualcosa come mezzo miliardo di dollari. Sempre lo scorso anno, ha aperto i battenti a Tulsa in Oklahoma il Bob Dylan Center, dov’è ospitato il ricco archivio venduto già nel 2016 alla George Kaiser Family Foundation e all’Università di Tulsa per 15-20 milioni di dollari. Con gli scaffali vuoti e le tasche piene il vate è tornato in tour dopo la pandemia, violata solo dall’uscita di Shadow Kingdom: The early songs of Bob Dylan, il film-concerto dato in pasto ai fan al posto di quel Never Ending Tour congelato dopo decenni e lasciato nel freezer per lasciar spazio a questo Rowdy Ways World Wide Tour, che frattanto ha superato le 130 repliche in tre continenti.
Il tour ha fatto parlare per alcune decisioni impenetrabili del Premio Nobel tese ad evitare qualsiasi tipo di ripresa audio-video come quelle di far abbassare le luci su di sé fin quasi all’oscurità e chiudere i telefonini del pubblico nelle spesse buste Yondr, sigillate dal personale di sala all’ingresso dello spettacolo con chiusure anti-taccheggio apribili solo all’uscita.
Dylan inizia lo show completamente nell’ombra, suonando la chitarra elettrica con la band per l’unica volta in tutto lo show, sedendosi poi al pianoforte appena illuminato dove rimarrà fino alla fine. Al suo fianco sei musicisti. Del quartetto che lo affianca nel Never Ending Tour, infatti, rimangono Tony Garnier al basso, con lui da più di trent’anni, e Donnie Herron a violino e pedal steel. L’assenza più significativa è di Charlie Sexton, tamponata dalla valentia strumentale non di uno, ma di due chitarristi come Bob Britt e Doug Lancio. Il repertorio poggia su 17 canzoni focalizzate su Rough and rowdy ways, di cui tornano 9 frammenti, spaziando anche da I’ll be your baby tonight a hit come Gotta serve somebody di Slow train coming.