Cecilia Marzotti
Alberto Pierini
FOIANO DELLA CHIANA, 26 novembre 2013 - «QUI SEDEVA un campione». E lì per un giorno almeno, e chissà per quanti altri ancora, ieri non si è seduto nessuno. No, quel banco in terza fila è un trionfo di scritte, delicatamente coperte da un mazzo di fiori. E’ il banco di Matteo Roghi, il ragazzino di 14 anni morto nell’esultanza di un gol. «Qui sedeva un campione che sarà sempre qui accanto a noi». L’affetto degli amici prova a sovvertire la storia di quei minuti finali di partita: Matteo che va in gol, con un tiro millimetrico. Esulta, grida, stramazza al suolo, muore.
La storia che quasi in contemporanea gli esperti dell’istituto di medicina legale di Siena non sovvertono ma provano a spiegare. Spiegare come si possa fermare il cuore di un ragazzino di 14 anni, nel pieno delle forze e dell’entusiasmo. Finora dai primi rilievi emerge pochissimo. A livello macroscopico, a occhio nudo si direbbe, nulla se non la conferma che il ragazzo era sanissimo e la morte è stata folgorante. Sono stati fatti prelievi anche dal cuore, sarà verificata l’esistenza di eventuali e minuscole malformazioni congenite. Qualche ipotesi, tra le maglie filtra: quella dell’infarto polmonare, un ristagno di sangue non ossigenato nei polmoni. E nel caso potrebbe confermare il ruolo avuto dallo sforzo fisico e anche dall’esultanza del gol. Mentre il Pm valuterà se iscrivere nelle prossime 48 ore qualcuno nel registro degli indagati. Intanto domani ci saranno i funerali. «Ci trasmetteva lui la gioia di vivere» racconta babbo Cristiano, tra i singhiozzi. «Non può essere vero, non si può morire così». Non punta il dito contro nessuno ma chiede di conoscere la verità sulla morte del figlio. E non a caso ieri, a fianco del medico legale Mario Gabrielli, c’era anche il perito della famiglia. Un uomo forte, Cristiano Roghi: ma che è come spezzato da quel minuto che tutti a Foiano vorrebbero cancellare.
E CHE INVECE è lì, tra gli occhi rossi degli amici, nel silenzio protettivo dei bar, nella classe dell’Istituto Professionale Marcelli, dove Matteo studiava. Con ottimi risultati: fino all’ultimo compito di spagnolo. «Tutti non fanno altro che parlare di te e nessuno crede che tu sia andato via». Tra i fiori sul banco spuntano le scritte. La lettera dei compagni di classe. Anche la sedia è una sola scritta, nella quale fatichi a sbrogliare il dolore delle ultime ore dalla goliardia che a scuola trasforma ogni oggetto in lavagna. Foiano piange, piange il suo capitano, morto in campo. Lacrime sulle quali la preside costruirà i prossimi giorni, perché tutti hanno bisogno di raccontare, i ragazzi come gli insegnanti. O il nonno. «IL GIOCO del calcio è stato beffardo e ingiusto con la nostra famiglia» dice Silvano, 63 anni. «Mio padre negli anni ’40 ebbe un grave incidente. Anch’io non sono stato fortunato». Lo chiama gioco, anche se in queste ore assume ben altri colori. «Non è giusto morire così a 14 anni».
La famiglia è da generazioni legata a Foiano e al Foiano e nessuno grida vendetta: ma tutti vogliono sapere la verità. «Tutti — scrivono i compagni di classe — speriamo sia un brutto sogno. Ma è verità, verità che fa male». «Per me era un figlio sempre disponibile, solare. Gli amici lo cercavano e aveva sempre una parola buona». Quelle delle quali babbo Cristiano ora ha un disperato bisogno. «Sarà sempre qui accanto a noi»: forse se potesse lo scriverebbe anche lui, come gli amici di Matteo a scuola. Di fianco a quella sedia destinata a rimanere vuota. Orfana anche lei del suo campione.
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