Firenze, 12 marzo 2024 – Le aggressioni al personale sanitario così frequenti che nemmeno vengono denunciate. A dirlo, nella Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari, è il presidente dell’Ordine dei medici di Firenze, Pietro Dattolo.
“I medici, gli infermieri e le altre figure professionali della sanità – ha spiegato intervenendo a Pisa al convegno organizzato dall’Anaao in memoria di Barbara Capovani, la psichiatra aggredita e uccisa da un paziente nell’aprile 2023 – subiscono regolarmente violenze fisiche o verbali. Molti, troppi, casi non vengono nemmeno più denunciati, tanta è la frequenza del fenomeno e l’assuefazione che purtroppo ha generato”. Per questo, aggiunge, “è necessaria un’opera di sensibilizzazione ad ampio raggio, dalle scuole ai luoghi di lavoro, per far capire che il personale sanitario opera tutti i giorni sul campo per garantire in primo luogo il diritto alla salute”.
“Aggredire verbalmente e fisicamente un medico o un infermiere – ha sottolineato il presidente dell’Ordine dei medici – è un reato e un atto di inciviltà, che va contro anche l’interesse della collettività perché comporta anche l’interruzione di un pubblico servizio. Accogliamo positivamente la novità della procedibilità d’ufficio per il reato di lesioni personali commesso nei confronti dei lavoratori della sanità, ma forse è giunto il momento di fare una riflessione sul fatto che forse sarebbe necessario prevedere la denuncia d’ufficio anche in caso di lesioni non fisiche, perché le minacce e le violenze psicologiche subite dagli operatori sanitari lasciano comunque il segno e quasi sempre sono l’anticamera dell’aggressione fisica”.
“A livello culturale – conclude Dattolo – è necessario promuovere un sentimento positivo nei confronti degli operatori sanitari che dovrebbero essere visti come professionisti quotidianamente impegnati a far funzionare al meglio un servizio fondamentale per la comunità. Allo stesso tempo bisogna ricostruire il rapporto di fiducia con la comunità, che valorizzi il lavoro dei professionisti della salute impegnati a far funzionare il sistema sanitario grazie alla loro dedizione”.
Aggressioni agli infermieri, undici all’anno
Donna (in oltre il 72% dei casi), tra i 30 e i 40 anni (oltre un terzo), che opera nel servizio pubblico (quasi nel 90% dei casi) e soprattutto in pronto soccorso (42%): questo l’identikit degli infermieri che di più subiscono aggressioni sul luogo di lavoro. Il dato emerge dal sondaggio condotto su un campione di iscritti all’Albo dalla Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche, Fnopi, per la rilevazione promossa dall’Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie del ministero della Salute su tutte le categorie di personale sanitario per scattare una fotografia della situazione nel 2023.
Nel campione che ha partecipato all’indagine, gli infermieri che hanno dichiarato aggressioni durante il 2023 sono il 40,2 per cento. Non solo. Nello stesso anno il numero delle violenze, verbali o fisiche, che gli infermieri aggrediti hanno dichiarato è di oltre 10-12 ciascuno nel corso di un anno solare, con le dovute differenze legate soprattutto al territorio e al reparto dove il professionista svolge la sua attività. In dettaglio, il 44 per cento ha subito da 4 a 10 aggressioni, il 55 per cento da 11 a 20 e l’1 per cento oltre 20 aggressioni in un anno.
“Il vissuto di un infermiere, di un professionista che in qualche modo è aggredito – ha affermato Barbara Mangiacavalli, presidente Fnopi – è un vissuto che fa fatica ad essere elaborato. Ci sono studi internazionali che ci parlano di episodi di burnout, stress, disaffezione, tanto è vero che in questi anni si registrano molti casi di abbandono delle professioni di cura e assistenza”.
Le violenze fisiche sono ormai all’ordine del giorno delle cronache, con episodi gravi, ma anche i casi di violenza verbale, come sottolineato dalla Fnopi, hanno risvolti negativi sui professionisti: la conseguenza professionale prevalente riguarda il “morale ridotto” (41%) e “stress, esaurimento emotivo, burnout” (33%), che secondo lo studio Bene, presentato a dicembre 2023 dalla Federazione, mette a rischio la qualità delle cure e la sicurezza dei pazienti e genera nei professionisti spesso (45,2% dei casi) la volontà di abbandonare il posto di lavoro.