LUIGI CAROPPO
Cronaca

La lezione della Storia, l’alluvione 57 anni dopo: qualcosa può cambiare

Due personaggi (Bargellini e Mattei) dettero la svolta nel novembre del 1966. Dalla grande paura alle opere realizzate, ma c’è ancora molto da fare

La Nazione del 7 novembre 1966

La Nazione del 7 novembre 1966

Firenze, 5 novembre 2023 – Sono passati 57 anni dalla pubblicazione di quella pagina che vedete sopra. Era La Nazione del 7 novembre del 1966 e raccontava dell’immane tragedia che aveva colpito Firenze, la Grande Alluvione, e tutta la Toscana, da Grosseto al Valdarno, da Pontedera a Prato. Ci vollero giorni per far capire che in questa terra nobile e bella, c’era stata una catastrofe. Ci vollero due personaggi che alzarono la voce e si rimboccarono le maniche, ognuno dalla propria prospettiva ma con un obiettivo comune, la salvezza e la rinascita, per dare una svolta ai soccorsi e alla mobilitazione generale.

Erano il sindaco di Firenze, Piero Bargellini, e il direttore de La Nazione Enrico Mattei (celebre il suo editoriale ’Lettera aperta al Capo dello Stato’ del 10 novembre). La popolazione chiedeva acqua e pane, il fango era dappertutto, i tesori artistici colpiti, i danni incredibili. La scossa arrivò. E giunsero a Firenze e in Toscana le macchine per togliere la melma, i rinforzi dei vigili del fuoco, gli ’angeli del fango’ da ogni parte del mondo. Molto fecero i fiorentini e i toscani. E la battaglia dopo settimane e settimane fu vinta. Sono passati 57 anni da quella tragedia. Tanti, tantissimi. Fino a poco tempo fa gli esperti dicevano che se fosse nuovamente piovuto come all’inizio del novembre del ’66, con le infrastrutture esistenti e con i pochi lavori fatti lungo il letto dell’Arno, dalla vallata a Firenze, ci sarebbe stato un altro disastro. Ma nel corso degli ultimi decenni però la storia ha insegnato che bisognava intervenire con opere mirate. Quindi che qualcosa si poteva fare. Non solo guardare il cielo e pregare che piovesse di meno o affacciarsi alle spallette dell’Arno per controllare la piena. Sono stati investiti soldi in opere pubbliche: hanno dato una svolta se non proprio definitiva, quanto meno ha limitato le paure disegnando prospettive più incoraggianti. Sono state realizzate una serie di casse di espansione, altre ne verranno. L’Arno respira e si espande prima di arrivare a Firenze quando gonfia per la pioggia. Arriva meno cattivo sotto i ponti e così scorre verso Pisa e il mare. "La nostra visione strategica è di avere sull’asse dell’Arno quattro grandi casse di espansione, a Pizziconi, che abbiamo appena presentato, a Prulli, a Leccio e a Restone, per una capacità di 20 milioni di metri cubi" ha sottolineato il governatore Giani. Non solo. La diga di Bilancino tanto contestata quando fu pensata e poi realizzata dà una mano. Eccome. "Ha funzionato il sistema di vasche di laminazione messo a punto in questi anni. E poi c’è la diga di Bilancino, che è la nostra salvezza: ci protegge d’estate dalla siccità e in inverno dalle piene" ha sottolineato il sindaco metropolitano Dario Nardella. E’ la dimostrazione che il clima che cambia si può combattere. Si è iniziato a farlo.

Non è il tempo di pensare a fatalità ambientali, è il tempo di fare e continuare a fare. La Toscana chiede 800 milioni per lavori (per i fiumi Ombrone, Magra, Serchio, Albegna) al governo. I consorzi di bonifica si occupino anche dei fiu mi minori, dei torrenti e delle pozze d’acqua d’estate che diventano bombe d’autunno. L’esecutivo Meloni ha dimostrato subito di esserci con uno stanziamento immediato. E domani a Prato arriva il ministro Tajani.