MAURIZIO COSTANZO
Cronaca

Almanacco del giorno: 2 gennaio 1960, muore il campionissimo Fausto Coppi

Il mistero del passaggio della borraccia ha unito per sempre nel mito Coppi e Bartali, gli amici rivali

Fausto Coppi e Gino Bartali nella famosa foto del passaggio della borraccia

Firenze, 2 gennaio 2022 - Erano altri tempi. Quelli in cui il ciclismo era lo sport più seguito e Coppi e Bartali venivano osannati come oggi Messi e Cristiano Ronaldo. Erano i tempi dell’Italia divisa del dopoguerra, che si ritrovò unita nell’ammirare le loro imprese. E a piangere, quel 2 gennaio 1960, quando la malaria, contratta durante un viaggio in Africa e non diagnosticata, si portò via a soli 40 anni il grande Fausto Coppi, ribattezzato l’Airone, perché al posto delle gambe sembrava avesse le ali e, invece di pedalare, volava.

Figlio di contadini, aveva preferito chinarsi sul manubrio anziché sulla terra. Era nato il 15 settembre del 1919 a Castellania, tra le colline e i vitigni dell’alessandrino. E da qui, dove tornava spesso, era partito alla conquista del mondo sui pedali. Traguardo dopo traguardo, tappa dopo tappa, ben presto era diventato l’eroe ciclista, il mito intramontabile. Aveva vinto tutto quello che c’era da vincere: cinque Giri d’Italia, due Tour de France, tre Milano-Sanremo, una Parigi Roubaix. E ancora: tre mondiali, due su pista e uno su strada, quattro titoli italiani, cinque Giri di Lombardia. C’è chi attendeva ore a bordo pista pur di vedere passare la leggenda. Per applaudirlo non appena riconosceva la sua sagoma inerpicarsi sulle montagne del Tour.

Uomo di poche parole, aveva ereditato dalle origini contadine il carattere schivo e una timida malinconia. Non era avvezzo alle dichiarazioni forti, alle luci dei riflettori.  Di lui restano le imprese sportive, immortalate dalle immagini in bianco e nero dell’epoca. E dalle mitiche radiocronache che celebravano i suoi straordinari assoli. Come quella di Nicolò Carosio che, per sottolineare lo stacco che il Campionissimo aveva dato a tutti gli altri, commentò: “Primo Fausto Coppi: in attesa del secondo classificato trasmettiamo musica da ballo”. Erano altri tempi, di quando i grandi campioni erano prima di tutto grandi uomini, e la rivalità sportiva non scalfiva la profonda amicizia, neppure in gara. Ne è un esempio la foto del ‘mistero’, quello del famosissimo scambio della borraccia sul Col du Galibier al Tour del 1952, tra Coppi e  un altro grandissimo delle due ruote come Gino Bartali.

Erano altri tempi, è vero. Ma ieri come oggi, i motivi che rendono il ciclismo così appassionante sono rimasti gli stessi. Perché è tutto uno scalare montagne stando in equilibrio, come nella vita. Perché in sella a una bicicletta, non ci può essere imbroglio. Perché “sulla schiena della terra”, per dirla con Sansot, si è da soli ma mai del tutto, neppure quando dal nido dei gregari si è spiccato il volo. Perchè alla fine non vince chi ha le gambe più robuste, ma chi ha il cuore più gagliardo, e deciso a non mollare. O forse, più semplicemente, perché tutti ne abbiamo avuta una di bicicletta, da bambini, e in qualche tasca del cuore, serbiamo ancora il ricordo di quanta fatica ci può stare nella salita più dura.

In questo sport, dopo Coppi, di grandissimi che hanno saputo far sognare e appassionare milioni di italiani come ha fatto lui, ce ne sono stati pochi. Tra questi, certamente Marco Pantani, un altro a cui la parabola di vittorie e di sfide della vita si è interrotta troppo presto. Giusto il tempo di diventare leggenda. Ma questa è un’altra storia.

Nasce oggi

Paolo Hendel nato il 2 gennaio 1952 a Firenze. Tra i comici più famosi e apprezzati del panorama nazionale, cabarettista, attore e commediografo, espressione della satira più pungente sulla realtà sociale e politica del nostro Paese.