Firenze, 29 settembre 2021 - “Questa è memoria di sangue, di fuoco, di martirio, del più vile sterminio di popolo”. I versi di Salvatore Quasimodo sembrano accompagnare chi si arrampica fino al cimitero di Casaglia, sopra Marzabotto, sull’Appennino bolognese. Lo sterminio degli innocenti che le SS compirono 77 anni fa nelle terre attorno a Monte Sole, hanno impresso un segno profondissimo e doloroso nella storia dell’intero popolo italiano. In quello che è stato il più grande, spaventoso e disumano eccidio nazifascista che l’Italia abbia conosciuto durante il secondo conflitto mondiale, donne e uomini, bambini e anziani vennero barbaramente uccisi secondo una logica di annientamento che travalicò persino gli orrori della guerra.
Ma che cosa è avvenuto esattamente in quella che è passata alla storia come una delle più grandi e feroci stragi di civili di tutta la seconda guerra mondiale? Per comprenderlo occorre fare un passo indietro nel tempo e nella storia. Mentre la guerra giungeva al termine, i nazifascisti erano oramai inseguiti dagli Alleati e costretti a battere in ritirata lungo la linea gotica. Braccati anche dai partigiani, il loro destino era oramai segnato. A quel punto la violenza divenne folle, il loro odio cieco. Abbandonato l’obiettivo di vincere la guerra, le SS se ne diedero un altro: portare nell’oltretomba quanti più partigiani possibili, senza mostrare pietà davanti a nessuno.
L’ordine era quello di stroncare chiunque combattesse per la liberazione, equiparando i civili alle formazioni in armi. Quindi anche donne, bambini e anziani vennero considerati come dei nemici da sterminare. Proprio sui monti di Marzabotto era attiva la brigata partigiana ‘Stella Rossa’. Prima di attaccarla però, il feldmaresciallo Kesselring ordinò al maggiore Walter Reder di organizzare una vasta operazione di rastrellamento fra le valli del Reno e del Setta. Un’operazione militare in grande stile, condotta, però, contro nemici disarmati.
Era la mattina del 29 settembre del 1944 quando la divisione SS del feledmaresciallo Albert Kesserling, supportata dai fascisti repubblichini, circondarono Marzabotto, alle pendici del Monte Sole, in provincia di Bologna. Cominciarono ad avanzare, raggiungendo anche Grizzana e Vado di Monzuno. Ovunque lo stesso copione, che rispondeva a ordini precisi: “Uccidere tutti, distruggere tutto”. E infatti rasero al suolo qualsiasi cosa incontravano sul loro cammino: case, cascine, fienili, scuole piene di bambini. La popolazione, in preda al panico, si riunì nella piccola chiesa di Casaglia e cominciò a pregare. I nazifascisti entrarono anche lì, freddarono con una raffica di colpi don Ubaldo Marchioni, raccolsero sul sagrato tutti gli altri e li uccisero con fredda metodicità: 195 vittime, le prime di una settimana di sangue, costellata da decine e decine di altri eccidi in villaggi e cascinali. Con una ferocia inconsueta: il corpo, decapitato, di un altro prete, don Giovanni Fornasini, fu ritrovato solo nell’inverno successivo, sotto la neve.
Stessa sorte negli altri paesi: nemmeno i luoghi sacri nei quali i civili si erano rifugiati e raccolti in preghiera fermarono la strage. Le SS entrarono, rastrellarono uomini e donne. Portarono i sopravvissuti nei cimiteri e li fucilarono. Strapparono i bambini dalle braccia delle madri e li gettarono vivi tra le fiamme delle abitazioni a cui avevano dato fuoco. Decapitarono gli anziani, uccisero le donne dopo averle violentate. Le testimonianze di chi scampò a quell’eccidio hanno descritto uno scenario da inferno dantesco.
In quel tragico autunno del 1944, la ritirata delle truppe tedesche, ormai sconfitte, lasciò dunque dietro di sé una gigantesca scia di sangue. Fra il 29 settembre e il 5 ottobre la marcia della morte guidata dal maresciallo Kesselring per fare ‘terra bruciata’ attraversò le colline e le montagne attorno a Marzabotto, lasciando dietro di sé circa 800 morti civili. Fu una strage, come hanno riconosciuto numerosi atti processuali, premeditata, decisa a tavolino, eseguita con fredda metodicità, che non risparmiò donne, invalidi, bambini: nessuna rappresaglia, nessuna vendetta. Solo l’intenzione di distruggere e uccidere.
Lucia Sabbioni aveva 15 anni. Sopravvisse solo perché ebbe la freddezza di fingersi morta tra i morti. I pochi scampati a quella mattanza hanno sentito risuonare nelle loro teste e nei loro incubi quelle scariche di mitra per tutta la vita. A loro si deve il racconto del fatto che molti di quei giovani con la divisa delle SS parlavano italiano, con un forte accento dell’Appennino bolognese. Erano fascisti locali che avevano fatto da informatori e da guide ai militari nazisti. Oggi Marzabotto e Monte Sole sono un luogo di memoria da cui sono nate la Costituzione e il sogno europeo. Quelle vite tragicamente spezzate, il dolore straziante dei sopravvissuti a quel martirio, sono diventate le basi di un riscatto popolare e di una lunga stagione di democrazia. Ma ogni qual volta l’odio e l’intolleranza sembrano prendere il sopravvento sul dialogo e la pace, il sangue innocente versato vorrebbe urlare dai sentieri, in mezzo ai castagni di Marzabotto. La loro voce è affidata per sempre ai versi immortali di Quasimodo impressi nell’epigrafe alla base del faro monumentale che sorge sulla collina di Miana, sovrastante Marzabotto: “Questa è memoria di sangue / di fuoco, di martirio / del più vile sterminio di popolo / voluto dai nazisti di von Kesselring / e dai loro soldati di ventura / dell’ultima servitù di Salò / per ritorcere azioni di guerra partigiana. / I milleottocentotrenta dell’altipiano / fucilati ed arsi / da oscura cronaca contadina e operaia / entrano nella storia del mondo / col nome di Marzabotto. / Terribile e giusta la loro gloria / indica ai potenti le leggi del diritto / il civile consenso / per governare anche il cuore dell’uomo / non chiede compianto o ira / onore invece di libere armi / davanti alle montagne e alle selve / dove il Lupo e la sua Brigata / piegarono più volte / i nemici della libertà. / La loro morte copre uno spazio immenso / in esso uomini di ogni terra / non dimenticano Marzabotto / il suo feroce evo / di barbarie contemporanea”.
Nasce oggi
Silvio Berlusconi nato il 29 settembre 1936 a Milano. Imprenditore ed editore, già Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana, dalla metà degli anni novanta in poi ha dominato e segnato la vita politica italiana. Inserito da Forbes nella classifica degli uomini più ricchi e potenti del mondo, con 3340 giorni complessivi (corrispondenti ad oltre nove anni) è il politico che è rimasto in carica più a lungo nel ruolo di presidente del Consiglio dell’Italia repubblicana. Ha presieduto i due governi più duraturi dalla proclamazione della Repubblica ed è stato l’unico leader politico mondiale ad aver presenziato a 3 vertici del G7/G8 come Presidente del Paese ospitante.