
Freddie Mercury
Firenze, 9 agosto 2021 - Il 9 agosto 1986: una data destinata a passare alla storia come l’ultima volta di Freddie Mercury con i Queen. Era una festa col pubblico in delirio: nessuno poteva immaginare che, proprio su quel palco, si stava consumando un addio. Nessuna voce era trapelata prima del concerto, né tantomeno dopo l’esibizione. Ai tempi della tournée nessuno era a conoscenza della sieropositività di Mercury, neppure il cantante stesso. Lo avrebbe scoperto non più tardi di un anno dopo.
Quel 9 agosto, nell’ultima tappa del Magic Tour, si esibirono dal vivo al completo per l’ultima volta in assoluto. I quattro arrivarono presso il parco a bordo di un elicottero, ridipinto alla stessa maniera della copertina dell’album ‘A Kind of Magic’. In Inghilterra, al Knebworth Park, nei pressi di Stevenage, a una cinquantina di chilometri da Londra, erano accorsi 120 mila fan. Dopo un cammino trionfale durato 25 date, quest’ultimo concerto, di cui sono rimaste poche tracce video, fu strepitoso: Mercury si esibì in grandi classici come “Bohemian Rapsody”, “Radio Ga Ga”. Suonarono diversi bis e per chiudere mandarono in delirio i fan con “We Will Rock You”, “Friends Will Be Friends”, “We Are the Champions” e l’inno inglese. Sembrava una festa ma non lo era: sotto la maschera di uno tra i tanti appuntamenti mitici del gruppo, si celava la fine di una leggenda. Dopo l’esibizione di Knewborth Park infatti, Mercury salì su un palco con i Queen solo un’altra volta, non più per suonare, ma per ritirare un premio ai Brit Awards del 1990.
Alla sua morte, il 24 novembre del 1991, a poco più di un giorno di distanza dalla diffusione del drammatico comunicato stampa in cui dichiarava pubblicamente di aver contratto l’Aids, la discografia dei Queen contava circa 300 milioni di dischi venduti nel mondo. Il vero nome del cantautore e musicista, genio camaleontico della musica di tutti i tempi, nato il 5 settembre 1946 a Zanzibar da una famiglia di origine Parsi, era Farrokh Bulsara. Una volta, parlando del suo futuro disse: “Non diventerò una rock star: diventerò una leggenda”. E così è stato. Fondò i Queen nel 1970 e in vent’anni divenne una delle più importanti voci del rock. Da allora il mondo non l’ha mai dimenticato. La storia di Freddie Mercury - dalla sua infanzia in India ai suoi complessi per la dentatura sporgente, dall’amore per Mary Austin agli esordi musicali, fino alle incredibili esibizioni come il concerto a Montreal nell’81 o il Live Aid nell’85 – è l’anima del brano che lo ha portato all’apice del successo e che costituisce il simbolo della sua unicità. L’epica “Bohemian Rhapsody”, che racchiude i suoni della ballade, dell’opera, dell’heavy rock.
Proprio questa commistione di elementi la rende una canzone senza tempo, un genere a sé sganciato da qualsiasi confronto. Pubblicato nel 1975 nell’album “A Night at the Opera”, il brano ha anche un testo sorprendentemente fatalista. E proprio “Bohemian Rhapsody” dà il titolo al recente film che celebra il leggendario frontman e i Queen sul grande schermo. La pellicola è stata uno dei più grandi successi cinematografici del 2018, e appena uscita nelle sale, ha riscosso un gradimento record, ennesima testimonianza del ricordo vivo e del grande amore che i fan, ancora oggi, nutrono per la stella Mercury, eternamente splendente. Ripensando a quel 9 agosto 1986, viene da chiedersi: cosa sarebbe successo se quello non fosse stato il concerto dell’addio, se Mercury non ci avesse lasciato e se la leggenda non si fosse così bruscamente interrotta? È uno dei grandi misteri della musica. Della storia. E, forse, della vita.
Nasce oggi
Filippo Inzaghi, nato il 9 agosto 1973 a Piacenza. Allenatore di calcio ed ex calciatore. Ha detto: “La vita e il calcio sono così. Un minuto prima giochi e lotti, un minuto dopo ti tieni il ginocchio fra le mani. Ed è un minuto dopo che ti guardi attorno. E io attorno a me ho tutti voi”.
Maurizio Costanzo