Firenze, 9 ottobre 2021 – Una scena da diluvio universale. Gli animali, nelle stalle e nei cortili, passarono dal silenzio assoluto all’agitazione. Stormi di uccelli si alzarono in volo per andare lontano, fino a scomparire oltre l’orizzonte. Era una notte di inizio autunno quando un gigantesco mostro d’acqua scatenò l’inferno in terra. Esattamente alle 22.39 del 9 ottobre 1963, un’enorme frana di roccia si stacca dalle pendici del Monte Toc, dietro la diga del Vajont, tra il Friuli e il Veneto. L’enorme massa, un corpo unico di circa due chilometri quadrati di superficie, e di ben 260 milioni di metri cubi di volume, piomba in un baleno nel sottostante lago artificiale. Lo schianto solleva un’onda di 230 metri d’altezza: si alzano 50 milioni di metri cubi di materiale solido e liquido.
La metà della massa d’acqua scavalca la diga, abbattendosi nella sottostante valle del Piave, provocando la distruzione di sette paesi: Longarone, Pirago, Maè, Rivalta, Villanova, Faè, Codissago, Castellavazzo. L’altra parte dell’onda sale la valle e va a colpire i paesini friulani di Erto e Casso e una miriade di borghi. Verso Longarone, allo sbocco del Vajont, l’onda è alta 70 metri e produce un vento sempre più intenso, che porta con sé, in leggera sospensione, una nuvola nebulizzata di goccioline. Tra un crescendo di rumori, le persone si rendono conto di ciò che sta per accadere ma oramai è troppo tardi, non possono più scappare. È un disastro immane: i morti accertati sono 1.910 (di cui 1.450 solo a Longarone), 460 dei quali bambini sotto i 15 anni. A cui si aggiungono i 10 caduti sul lavoro durante gli anni di costruzione della diga. E poi feriti, case spazzate via, collegamenti interrotti. La geografia dei luoghi, già sconvolta dalla realizzazione della diga, da quel terribile giorno cambia per sempre.
L’ondata rade al suolo le case ma è talmente forte da scheggiare anche le altre montagne. Sul Monte Toc resta una cicatrice dalla forma di una ‘M’ gigantesca. Alberico Biadene, direttore costruzioni della Sade, si era accorto che stava per accadere qualcosa. A neppure 24 ore dal disastro, chiese ai vertici della società costruttrice, la Sade, di far scattare l’allarme e provvedere con un piano di evacuazione delle cittadine di Erto e Casso. Il 9 ottobre, prima dell’onda assassina, la frana – nella zona dove resterà la ‘M’ - ‘sussurra’ che sta per muoversi e gli alberi si inclinano. È mezzogiorno quando alcuni operai, in pausa pranzo, vedono ad occhio nudo il movimento della montagna. Uno di loro, tra le 15 e le 16, scorge alcuni alberi cadere e delle zolle rotolare a valle. Alle 22 il geometra Giancarlo Rittmeyer telefona a Biadene, a Venezia, per comunicare la sua preoccupazione, dato che la montagna ha cominciato a cedere visibilmente. Esattamente 39 minuti dopo quella telefonata, è il disastro: lo stesso geometra sarà tra le vittime.
Solo alle prime luci dell’alba gli occhi dei sopravvissuti possono vedere ciò che è accaduto. Il greto del Piave è stato raschiato dall’onda che ha cancellato del tutto Longarone. Case, chiese, alberghi, osterie, monumenti, piazze e strade sono sommerse dall’acqua che ha sradicato persino le fondamenta degli edifici. Della stazione ferroviaria non rimangono che lunghi tratti di binari piegati come fuscelli. Svetta solo il campanile di Pirago, graziato dall’onda assassina. Subito scatta la commissione d’inchiesta ministeriale. L’allora Presidente della Repubblica, Antonio Segni accorre nella valle del Piave, e guardando dell’elicottero il disastro sotto i propri occhi, non trattiene le lacrime. La frana del monte Toc ha avuto la colpevole complicità degli uomini, ma accertarlo, tra il dolore e la rabbia dei superstiti, non è stato semplice: l’iter processuale sarà eterno, e anche la battaglia per i danni materiali e morali avrà un percorso travagliato. Le quasi 2mila vite spezzate in quella drammatica sera di 58 anni fa, trascinate, ingoiate e sepolte da quella spaventosa onda di acqua, fango e morte, resteranno per sempre una ferita viva nel cuore dell’Italia.
Nasce oggi
John Lennon nato il 9 ottobre 1940 a Liverpool, Regno Unito. È stato un cantautore, polistrumentista, paroliere e attivista britannico. Dal 1960 al 1970 fu compositore e cantante dei Beatles. Con Paul McCartney formò una delle più importanti partnership musicali di successo della storia della musica del ventesimo secolo. È il cantautore di maggior successo nella storia delle classifiche inglesi, seguito da McCartney. Nel 2002, in un sondaggio della Bbc sulle 100 personalità britanniche più importanti di tutti i tempi, si è classificato ottavo. Ha detto: “Quando avevo cinque anni, mia madre mi ripeteva sempre che la felicità è la chiave della vita. Quando andai a scuola mi domandarono come volessi essere da grande. Io scrissi: felice. Mi dissero che non avevo capito il compito, e io dissi loro che non avevano capito la vita”.
Maurizio Costanzo