
Cabina telefonica
Firenze, 13 agosto 2021 - Tutto ebbe inizio in un freddo giorno d’inverno, ad opera del signor William Gray, che aveva la moglie ammalata e doveva assolutamente chiamare un dottore. Non avendo il telefono, si infilò il paltò e uscì di casa. All’epoca non esistevano ancora le cabine telefoniche, e visto che in pochissimi potevano permettersi l’apparecchio, sarebbe stato anche inutile bussare alla porta dei vicini. E allora decise di arrivare fino alla più vicina fabbrica, ma una volta qui, nonostante avesse spiegato la situazione e fatto presente l’urgenza, si sentì comunque negare la chiamata, dal momento che il loro non era un telefono pubblico. Da quel giorno, e da quella necessità, nacque l’idea che rivoluzionò il Novecento e le vite di tutti: il telefono a gettoni.
Che nacque di fatto il 13 agosto 1889, quando il signor Gray lo brevettò. Prima era una sorta di cassettiera che veniva messa in funzione da monetine: una campanella informava del pagamento l’operatore incaricato, che metteva in contatto, attraverso un sistema eseguito a mano, il cliente alla persona desiderata. Gli venne poi l’idea di sostituire i soldi con dei dischi metallici con una o più scanalature: il gettone telefonico. È stato in Connecticut, presso una banca di Hartford, che venne installato il primo telefono a pagamento: avvenne nel 1905, grazie alla compagnia telefonica Bell, per la prima volta sulle vie di Cincinnati. Ma bisogna aspettare ancora qualche anno per vedere le cabine telefoniche spuntare nelle strade di tutta Europa. Una volta approvato il brevetto, Gray aprì una sua azienda e cominciò ad istallare questi apparecchi in molte città. Ma per il successo di quest’invenzione ci volle ancora del tempo: la popolazione infatti, non si mostrò subito propensa a discutere dei propri affari privati in pubblico, in mezzo ad una strada, dove non si era certo al riparo da occhi e orecchie indiscrete.
Ma il progresso, si sa, è capace di superare ogni ostacolo e resistenza. E così, man mano che gli anni passarono, le cabine telefoniche finirono per invadere il mondo, rivoluzionando il nostro modo di comunicare. Le famosissime cabine rosse londinesi furono introdotte nel Regno Unito nel 1924. Oggi, all’epoca degli smartphone, per coloro che non hanno vissuto direttamente quell’epoca, risulta quasi impossibile comprendere appieno cosa ha rappresentato la “rivoluzione del gettone”, in un momento storico in cui quei pochi telefoni in circolazione erano rarissimi oltre che costosi. Ogni volta che si chiamava qualcuno, e si usciva di casa appositamente per telefonare, si sarebbe consumato, per forza di cose, una specie di rito. A cominciare dall’immancabile fila davanti alla cabina. Non era mai così immediato alzare la cornetta e comporre il numero: bisognava attendere all’esterno il proprio turno, sperare di aspettare poco, ed essere concisi in modo da non far aspettare troppo chi veniva dopo. La rubrica era nella nostra mente, e quei pochi numeri da chiamare stavano tutti in un foglietto. Le telefonate erano spesso programmate, l’interlocutore aspettava lo squillo a una certa ora e il più delle volte si faceva trovare pronto. Le cose da dire dovevano essere essenziali, non c’era tempo per le chiacchiere o i tempi morti. Spesso bastava far sentire la propria voce per far felici genitori e parenti lontani. Le telefonate più lunghe erano quasi sempre dei fidanzati, che tra le porte di quella cabina, come in un’altra dimensione, si lasciavano andare a nostalgiche confessioni d’amore o a concitate e gelose litigate. A volte, sulle apposite mensole delle cabine, c’erano anche elenchi telefonici, in cui mancava quasi sempre qualche pagina strappata.
Raccontare del telefono a gettoni significa, per forza di cose, anche ripercorrere l’inizio della storia della lenta ma inesorabile perdita della privacy della società moderna. Chiudere quelle porte trasparenti per non far ascoltare la propria conversazione era quasi del tutto inutile, dal momento che, quasi attaccati al vetro e impazienti, c’era chi aspettava di entrare, magari cronometrando i secondi facendo saltare nervosamente i gettoni da una mano all’altra. Nell’epoca dei piani tariffari dai minuti illimitati, è una sensazione oramai impossibile da riprovare, quella di una durata esattamente stabilita dalla necessità e dai soldi a disposizione. I gettoni venivano spesso scambiati con le monete da 200 lire, e si esaurivano sempre troppo presto. Questo rito, della durata di pochi minuti, inevitabilmente si concludeva con l’ultimo gettone, che spesso spezzava a metà l’ultimo ‘ciao’. La cornetta veniva appoggiata all’apparecchio e quel momento sanciva una specie di ‘temporaneo addio’. Al di là del valore nostalgico, i gettoni hanno oggi un valore anche economico. La loro produzione terminò nel 1980, quando vennero affiancati e poi soppiantati dalle schede telefoniche. Averne tra le mani qualcuno in ottimo stato – e non è facile, dal momento che all’epoca erano di uso comune - può fruttare del denaro. Lo ‘Stipel’, il primo in assoluto realizzato nel nostro Paese, coniato nel 1927, può valere dai 60 agli 85 euro, a seconda appunto dello stato di conservazione. Quelli della serie 7304 e 7110 possono avere un valore fino a 70 euro, mentre quelli della serie 7704 fino a 50 euro. La serie 7803 fino a 20 euro, mentre quelli con la sigla 7809 non superano i 15 euro cadauno.
Nasce oggi
Ron, pseudonimo di Rosalino Cellamare, è nato il 13 agosto 1953 a Dorno, in provincia di Pavia. Cantautore e polistrumentista italiano, vincitore del Festival di Sanremo e del Festivalbar, è stato autore di alcune delle più belle canzoni italiane. Ha detto: “I miei riferimenti sono sempre stati inglesi e americani, perché sanno dire molto anche con pochi strumenti. E credo che la musica sia in grado di far rinascere davvero le persone”.