Firenze, 21 agosto 2021 - Rocambolesco e clamoroso, e per certi versi, ancora avvolto nel mistero. È il furto della Gioconda che avvenne verso le sette del mattino del 21 agosto 1911. Era un lunedì e soprattutto era il giorno di chiusura del Louvre.
Il ladro del quadro più famoso al mondo, diventato per questo famoso a sua volta, era un italiano. Si chiamava Vincenzo Peruggia, era originario di Dumenza, della provincia di Varese e di mestiere faceva l’imbianchino e il decoratore. Era emigrato oltralpe per cercare fortuna, e trovò lavoro in una ditta che si occupava della manutenzione interna del Louvre. Per questa ragione riuscì ad entrare nel museo senza destare sospetti. Secondo quanto ricostruito, Peruggia si era nascosto in uno sgabuzzino del Louvre la sera prima del giorno della chiusura. Si diresse indisturbato nel Salon Carré oramai deserto, grazie a una scala di servizio, staccò la Gioconda dalla parete – all’epoca si trovava non isolata e al sicuro come oggi, ma semplicemente esposta tra un Correggio e un Tiziano - quindi si diresse verso la scaletta della sala dei Sept Mètres liberandosi della cornice e del vetro, infine scappò da una porta sul retro che forzò con un coltellino. Una volta giunto nel cortile interno, per nascondere la celebre tela da sguardi indiscreti, la avvolse nella sua giacca. Appena uscito, prese al volo il primo autobus, ma la fretta gli giocò un brutto scherzo: il mezzo andava nella direzione sbagliata. Quando se ne accorse, scese e si fece riportare a casa da una vettura. Quando tornò al museo per prendere servizio, visibilmente in ritardo, si giustificò dicendo di essersi ubriacato il giorno precedente e di subire ancora i postumi della sbornia.
Ma da quel momento, che fine fece la Monna Lisa di Leonardo? Peruggia la portò innanzitutto a casa sua, che fu la prima destinazione del dipinto. Ma la sua stanza era molto umida, e temendo che il capolavoro del genio di Vinci potesse danneggiarsi, la affidò in un primo momento a un compatriota che abitava nello stesso stabile. Solo dopo aver realizzato una apposita cassa di legno, secondo lui perfetta per nascondere e custodire al meglio il dipinto, andò a riprendersi la preziosa tela per tenerla con sé. Al Louvre intanto, la mattina dopo, ci si rese conto, solo grazie a un pittore e a un incisore, che la Gioconda mancava dal proprio posto: in quel momento però, nessuno pensava ancora ad un possibile furto. Prima di informare il capo della sicurezza Poupardin, in un primo tempo gli impiegati immaginarono che il quadro potesse averlo con sé il fotografo ufficiale. Una volta però accertato il contrario, in poco tempo nella sala si riunirono il direttore del museo Homolle, il sottosegretario di Stato alle Belle Arti, il capo della polizia ed il prefetto di Parigi, Louis Lépine. La polizia iniziò immediatamente a scandagliare palmo a palmo il museo, ma le ricerche non diedero alcun esito. Iniziava così a farsi strada l’ipotesi più drammatica: quella di un furto. Una notizia gravissima, che infatti verrà comunicata ufficialmente solo il giorno dopo. Ipotesi accreditata dal ritrovamento, nella sala dei Sept Mètres, della cornice e del vetro della Monna Lisa, e avvalorata dal fatto che la porta a vetri, priva di pomello, era stata forzata.
Essendo quell’uscita frequentata dagli operai, venne ipotizzato che il ladro potesse essere o uno di loro, oppure che si fosse mescolato tra i lavoratori. Tutto il personale del museo venne pertanto chiamato e interrogato. Compresi i muratori, i decoratori, il personale assunto per un breve periodo e tutte persone i cui dati erano riportati sul registro delle commesse. Non solo Peruggia venne interrogato, ma la sua modesta stanza venne anche ispezionata da cima a fondo: tuttavia la Gioconda non saltò fuori, destinata a rimanere nascosta ancora a lungo nello spazio ricavato sotto quell’unico tavolo di quella misera abitazione. Per ironia della sorte, negli stessi momenti in cui Peruggia riusciva a farla franca, venivano invece erroneamente accusati il poeta Guillaume Apollinaire e Pablo Picasso, rei di aver posseduto alcune statuette fenicie provenienti dal Louvre. Entrambi però, ben presto, riuscirono a dimostrare la loro totale estraneità ai fatti. Intanto, mentre sulla parete del Louvre, nel posto lasciato vuoto dalla Gioconda veniva affisso momentaneamente il Ritratto di Baldassarre Castiglione di Raffaello, le indagini proseguivano senza esito. Al punto che gli ‘Amici del Louvre’ annunciarono persino una ricompensa di 25.000 franchi per chi avesse dato informazioni valide e utile alle ricerche. La Gioconda rimase presumibilmente in quello stanzino per due anni. Poi, ad un certo punto, nell’autunno del 1913, il collezionista d’arte fiorentino Alfredo Geri decise di organizzare una mostra nella sua galleria, e attraverso un annuncio sui giornali, chiedeva a privati di prestargli alcune opere. La notizia evidentemente giunse anche al ladro della Gioconda, che decise di cogliere al balzo l’occasione e di farsi vivo. Fu allora che, da Parigi, Geri ricevette una lettera con la firma ‘Vincent Leonard’ nella quale veniva proposta la vendita della Gioconda, ma a due condizioni: una cospicua ricompensa in denaro e che il dipinto restasse in Italia. Geri, allarmato, avvisò immediatamente il direttore degli Uffizi dell’epoca, Giovanni Poggi: l’incontro con Monsieur Leonard si tenne l’11 dicembre 1913, in un albergo di Firenze.
A quel punto il direttore della Galleria prese in custodia il dipinto per esaminarlo. Ma una volta accertata l’autenticità, Peruggia, al posto del denaro, ricevette la visita dei Carabinieri, che il giorno seguente bussarono alla sua stanza d’albergo per arrestarlo. Ma perché Peruggia compì questo furto? Secondo quanto affermato, lo fece per patriottismo: voleva restituire all’Italia almeno uno di quei dipinti portati in Francia dalle scorrerie napoleoniche. Tuttavia, per quanto Napoleone amasse l’opera al punto che per alcuni anni la posizionò nella sua camera da letto alle Tuileries, sembra essere stato l’allievo dello stesso Leonardo, Gian Giacomo Caprotti, a cedere al re Francesco I il capolavoro del suo maestro. Certo è che Vincenzo Peruggia andò a processo, che si svolse il 4 e 5 giugno 1914 presso il Tribunale di Firenze. C’era la stampa internazionale e soprattutto c’era tantissima gente che aveva apprezzato il gesto definito addirittura ‘eroico’ di Peruggia. E proprio la pressione popolare, oltre che l’invocazione dell’infermità mentale, indussero la corte a concedergli le attenuanti e a comminargli una pena assai mite: un anno e quindici giorni di prigione, ridotti poi a sette mesi e otto giorni. Anche i buoni rapporti tra Francia e Italia contribuirono ad evitare al ladro una pena esemplare. E così, appena fu emessa la sentenza, Peruggia non solo venne scarcerato, ma fuori dal carcere trovò ad attenderlo anche un gruppo di studenti toscani, che gli consegnarono 4.500 lire, risultato di una colletta a nome di tutti gli italiani. Quanto alla Monna Lisa, prima del suo ritorno definitivo a Parigi, il capolavoro di Leonardo venne esposto Italia. E così, grazie al gesto criminale e ‘patriottico’ di Peruggia, gli italiani hanno potuto ammirare a lungo la Gioconda in patria, prima agli Uffizi a Firenze, poi all’ambasciata di Francia di Palazzo Farnese a Roma, infine alla Galleria Borghese in occasione del Natale.
Nasce oggi
Laura Morante, nata il 21 agosto 1956 a Santa Fiora, in provincia di Grosseto. Attrice, doppiatrice, regista, nel 2001 ha vinto un David di Donatello come ‘Miglior attrice’ per il film ‘La stanza del figlio’. Ha detto: “Un film è come una partitura musicale: bisogna seguire il direttore d’orchestra, accordarsi con gli altri e capire la partitura. Ma è fondamentale metterci del proprio”.