Firenze, 9 novembre 2021 - Per molti giovanissimi quel simbolo della divisione del mondo che tagliò in due la città per 28 lunghi anni, è nei libri di storia, nelle foto, nelle immagini dei servizi televisivi dell’epoca. Chi invece ha assistito al crollo, in prima persona o attraverso le televisioni, la sera del 9 novembre 1989 ha provato sulla propria pelle l’emozione di vivere la storia.
Eppure giusto qualche mese prima, esattamente a gennaio, Erich Honecker, il capo di Stato e leader della Ddr, aveva preconizzato altri “cento anni di Muro”. Che l’aria stava cambiando lo si capì più tardi, il 18 ottobre, quando lo stesso Honecker si era precipitosamente dimesso, lasciando il posto a Egon Krenz, il nuovo Presidente del Consiglio di Stato, che aveva preannunciato “una svolta”. Il simbolo della fine della cortina di ferro, del mondo diviso in due blocchi atomici e della riunificazione della Germania, era stato preparato anche dalle fughe estive di diecimila tedeschi dell’est, che avevano già lasciato il Paese per fuggire in occidente attraverso l’Ungheria. Altre decine di migliaia protestavano ogni giorno nelle piazze della città della Repubblica democratica tedesca, per chiedere pace e libertà. Nonostante si fosse smantellato il Politburo della Sed, nessuno in Germania poteva prevedere quell’epilogo. Che quello storico 9 novembre arrivò al margine di una conferenza stampa serale, in cui il regime, attraverso il ministro della Propaganda Guenter Schabowski, annunciò improvvisamente un’apertura: la libertà di viaggio verso l’ovest. In pratica si poteva, da subito, oltrepassare il Muro. Appena appresa la notizia, il popolo inondò il confine, deciso a cancellare dalla faccia della città quel triste simbolo lungo 155 km , eretto in una notte, fra il 12 e il 13 agosto del 1961, per mettere freno all’esodo verso l’ovest.
Da parte loro, gli agenti della Polizia, che per quasi trent’anni avevano sparato contro chiunque avesse tentato di scavalcare il Muro, rendendosi responsabili più o meno direttamente della morte di almeno 140 fuggiaschi solo a Berlino, reagirono con stupore e incredulità a quella che suonava come una ‘beffa’. Le guardie, colte di sorpresa da un afflusso così massiccio, chiesero ordini su come comportarsi, ma intanto alzarono le sbarre bianche e rosse, permettendo a tutti di passare senza controlli. Il resto si consumò tra gioia e picconate, idranti e lacrime di felicità. Era il 9 novembre del 1989: con la caduta del Muro di Berlino, la Guerra fredda era finita. Parenti e famiglie costretti a vivere divisi per decenni si potevano finalmente riabbracciare. I tedeschi dell’est vennero accolti dai concittadini dell’ovest tra gli applausi. Si stapparono bottiglie, si accesero fiaccole, si urlava forte “libertà”. Un grandioso colpo d’occhio: era tutto uno sventolare di bandiere della Germania, i ragazzi si arrampicavano tirandosi su a vicenda: i loro occhi videro per la prima volta luoghi di cui avevano solo sentito parlare dai più anziani. Una marea umana era pronta a festeggiare tutta la notte, mentre nella redazione di un tabloid si titolava ‘Berlino è di nuovo Berlino’.
In tre giorni, due milioni di persone passarono il confine. Il muro era stato come una macchina del tempo che aveva cristallizzato il travagliato dopoguerra, accentuandone, anno dopo anno, il ritardo accumulato. Il suo crollo sanciva la fine del comunismo e dell’anomalia di un mondo contrapposto in due opposti blocchi. Travolgere quel cordone di cemento, accorrere per demolirlo coi picconi, costituì non solo la premessa indispensabile per la riunificazione del Paese. Ma significava, per milioni di tedeschi, assistere all’alba di una nuova era, che avrebbe visto Berlino divenire la vera capitale d’Europa. Quel che seguì, la riunificazione vera e propria, il 3 ottobre del 1990, fu il capolavoro politico del cancelliere Helmut Kohl. La fine della guerra fredda, la frammentazione dell’Urss, la caduta dell’impero sovietico: dal 9 novembre 1989 il mondo non fu più lo stesso.
Nasce oggi
Marco Bellocchio nato il 9 novembre 1939 a Bobbio (Piacenza). È uno dei registi più importanti della scena internazionale, sceneggiatore e produttore cinematografico. Ha detto: “La tecnologia da sola non dà cinema, al massimo genera pura fotografia dell’esistente”.
Maurizio Costanzo