Pisa, 19 aprile 2024 – “Dovrei pensare alle cose che ho, alle cose che vorrei e come raggiungerle, e poi a come difenderle". Comincia così, con una citazione di una canzone dei Linea77, il gruppo musicale alternative metal torinese, il nostro viaggio all’interno del reparto Spdc, la psichiatria dell’ospedale Santa Chiara di Pisa. Qui, un anno fa, il 21 aprile, la dottoressa e direttrice del Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura di Pisa, Barbara Capovani, fu brutalmente uccisa mentre usciva dal lavoro, per la procura, da un uomo che era stato ricoverato in quel reparto. "Barbara - racconta Simona Elmi, che ha preso il posto della sua collega e amica Capovani nella direzione del reparto (è facente funzione) - ha sempre creduto che ci fosse una possibilità per persone aggressive e violente. Io no, nel tempo mi sono disillusa, ma per lei voglio ricredermi e impegnarmi a credere che ci sia". La dottoressa Elmi, come recita la frase dei Linea77, pensa a difendere ciò che ha, ma la psichiatria negli anni si è trasformata e lei, come tanti colleghi, non la riconoscono più. "In Italia – spiega -, si sta commettendo l’errore di associare l’aggressività alla psichiatria. Siamo chiamati a gestire le devianze comportamentali. Chi tira un pugno alla sua ragazza o spacca una vetrina, invece di essere mandato in carcere viene portato qui. Ma il nostro mestiere è altro".
Ma non solo, la psichiatria è diventata lo sfogo per quei casi limite, pazienti autori di reato per i quali è stata fatta dichiarazione di incapacità e pericolosità sociale, destinati alle Rems, e che vengono lasciati nel reparto Spdc anche per 9 mesi. "Parcheggiati qui", dove non dovrebbero stare, e che "trasversalmente", spiega Davide Ribechini, medico forense del reparto psichiatrico di Pisa, "entrano nelle maglie del sistema sanitario". Ribechini fa parte del tavolo ministeriale per la stesura di una legge che riformi l’intero sistema di gestione dei pazienti psichiatrici. "Va trovata una soluzione terza – spiega -, per poter gestire queste persone in istituti carcerari con delle sezioni apposite".
Il reparto dell’Spdc fu realizzato alla fine degli anni ‘90, all’epoca era una struttura all’avanguardia, con grandi finestroni che si affacciano su un giardino e due ali, quella maschile e quella femminile, per un totale di 16 posti letto, più due dedicati ai minori. "Un giardino terapeutico", perché se qualcuno ha una crisi, basta accompagnarlo fuori a fumare una sigaretta o prendere una boccata d’aria per avere l’illusione di uscire. I medici sono in tutto 8, ma non bastano e le aggressioni sono all’ordine del giorno, "i giovani specialisti in psichiatria non vogliono più lavorare nel pubblico", dice Elmi, ma c’è una differenza tra quello che i medici chiamano i "pazienti veri" e chi invece viene portato qui mentre avrebbe bisogno di una struttura intermedia e più simile a un carcere.
“Un paziente vero non farebbe mai quello che è stato fatto a Barbara Capovani", ricostruisce la dottoressa Elmi, che inevitabilmente torna sull’episodio. Lei, infatti, quel 21 aprile era lì: "Rimpiango l’urlo che mi uscì mentre ero nel corridoio. Col senno di poi mi sono resa conto di aver traumatizzato i pazienti", spiega. Ricordare è difficile, anche se ci è abituata, come in tribunale a Pisa dove ha ripercorso tutta la storia di Gianluca Paul Seung, il 36enne accusato di aver ucciso con 12 colpi alla testa la dottoressa Capovani.
“Uccisa per vendicarsi dell’umiliazione quando fu ricoverato nel 2019 nel reparto" è la ricostruzione fatta mercoledì in aula dal consulente del pm. Capovani, infatti, lo legò al letto dopo che tentò di molestare giovani pazienti, e lui non ha mai dimenticato l’"umiliazione".