
La vittima (Foto da Facebook)
Empoli, 13 gennaio 2016 - GIUSEPPE Nocerino non dorme. Ma come potrebbe? «Non ha chiuso occhio», racconta l’amico che l’ha ospitato per una notte da incubo, piena di brutti pensieri, e che continuerà a dargli un letto finché resterà sotto sequestro l’appartamento dell’orrore, dove Beata Balon, la compagna, è stata trovata morta, all’alba di lunedì, con un sacchetto di nylon in testa e un giro di nastro adesivo a tenerlo ben stretto intorno al collo. Ieri l’ex guardia giurata è tornata nella casa di via Pasteur, periferia di Empoli, quartiere di Ponzano, per portare via sacchi di indumenti ed effetti personali. Prove di triste sopravvivenza, mentre la procura ha deciso di aprire un fascicolo per omicidio, ma senza affondare il colpo: ancora nessun iscritto nel registro degli indagati, ancora nessuna svolta decisiva. «Può essere davvero un caso di suicidio, certo molto particolare», dicono gli investigatori. «Oppure un omicidio ben architettato, in cui la povera Beata è stata sorpresa in un momento di torpore dato dall’alcol e dagli psicofarmaci che assumeva abbastanza abitualmente». In quelle condizioni, d’incoscienza mista a disperazione, non sarebbe stato difficile metterle un sacco nero in testa e poi aspettarne la morte senza fare troppa fatica, senza combattere.
L’AUTOPSIA svolta ieri all’istituto di medicina legale di Careggi ha dato il responso che tutti immaginavano: Beata Balon, 45 anni, polacca in Italia ormai da 24, donna delle pulizie per Manutencoop, è morta per soffocamento. Niente lividi, nessun segno sul collo, né sui polsi. Per ora regge la versione del compagno, che sostiene di essersi coricato – domenica sera – con Beata già nel letto, apparentemente addormentata, coperta da un grosso peluche che l’ex ballerina era solita tenere con sé nel letto. «Mi sono accorto che era morta solo la mattina dopo, quando spostando il pupazzo ho visto quel sacco nero che le copriva la testa», ha raccontato Giuseppe Nocerino al pm Ornella Galeotti. Una versione che non convince fino in fondo gli investigatori, vista la stranezza della vicenda («certo quella sera dev’essere stato molto distratto»), ma che finora non mostra contraddizioni. Ecco perché la possibilità di far svoltare l’inchiesta è ora affidata all’esame scientifico da effettuare sul nastro adesivo trovato intorno al collo di Beata: potrebbero esserci, su quello scotch, le impronte del convivente? «Giuseppe è disperato, continua a chiedersi se poteva fare qualcosa di più per salvarla», dice il solito amico, conosciuto anni fa all’interno dell’associazione Acat, una realtà che offre aiuto e un percorso di salvezza a persone con dipendenza da alcol. In quell’associazione Giuseppe c’era finito per dare un sostegno alla compagna, che di problemi con la bottiglia ne aveva tanti. Ormai da molti anni. «Ma mia mamma non può essersi uccisa», dice Cesare, 27 anni, il figlio maggiore di Beata, arrivato con lei dalla Polonia, ascoltato l’altro giorno nella caserma dei carabinieri di Empoli insieme a una quindicina di persone fra amici e parenti della donna morta. «Qualcuno me l’ha uccisa».
E POI racconta della telefonata agghiacciante con cui Debora, la figlia che Beata aveva avuto 18 anni fa da un italiano, l’ha avvertito di quanto era successo: «Non ci credo che tutto questo stia capitando proprio a me...». E aggiunge, Cesare, di una vicina di casa della mamma, anche lei ascoltata dagli investigatori, secondo la quale ultimamente Beata aveva paura e forse se ne voleva andare. Che fosse scontenta, depressa, insoddisfatta lo confessava lei stessa su Facebook. Ma diceva anche che alla fine ce l’avrebbe fatta. Che c’è sempre una speranza nella vita. Pensieri di rinascita. O forse di nera disperazione, così nera da non riuscire a vederla bene. Fino a uccidersi?