LISA CIARDI
Cronaca

Bulli con il coltello alle medie, 12enne rapinato. “I reduci del lockdown sono soli”

Pippo Russo, sociologo dell’Università di Firenze: “In famiglia e a scuola zero autorità. Manca il confronto fra generazioni. E gli adolescenti scambiano la violenza con l’identità”

Uno striscione di protesta contro il bullismo

Firenze, 12 febbraio 2023 – Aggressioni verbali, violenze virtuali, ma anche, sempre più spesso, veri e propri episodi di microcriminalità. Le storie di minori protagonisti di aggressioni, rapine, molestie e bullismo sono ormai all’ordine del giorno. Abbiamo provato a capirne i motivi con Pippo Russo, sociologo dell’Università di Firenze.

Bullismo: nuove e più preoccupanti forme. Cosa succede?

«Il bullismo è sempre esistito, ma col tempo ha cambiato pelle e si è adeguato al mutato contesto storico e sociale. Abbiamo il cyber-bullismo, tipico di società digitale, ma anche forme più esplicite di violenza».

Da che cosa dipende?

«Credo che un tema centrale sia la scomparsa del conflitto intergenerazionale. Un conflitto che in passato vedeva i giovani confrontarsi con i genitori, con l’autorità in generale e con l’istituzione scolastica in particolare. Questo confronto, che non era necessariamente duro, portava a una continua negoziazione: costringeva i giovani, singolarmente e collettivamente, a lottare per guadagnarsi l’autonomia, il rispetto del resto della società».

Come mai oggi manca?

«I motivi sono variegati e complessi. Abbiamo spesso famiglie eccessivamente protettive o del tutto assenti e figli sempre più smarriti. Anche l’istituzione scolastica è stressata, spesso sommersa dalla richiesta di prestazioni esorbitanti e, per contro, defraudata della sua autorità dalle stesse famiglie, che non si trattengono dal contestarla di fronte ai figli. Molti ragazzi restano disorientati».

In che modo questo si lega alle violenze?

«Scomparso il percorso di crescita attraverso il conflitto intergenerazionale, i giovani cercano la propria identità in altri modi, spesso entrando in dinamiche di gruppo. Il branco diventa l’ambiente in cui sentirsi protetti e allo stesso tempo provare ad affermarsi, a farsi apprezzare, a definire la propria personalità. E questo può dare luogo a espressioni di violenza anche gravi».

La pandemia ha influito?

«Sicuramente ha indebolito i legami sociali che fungevano da deterrenti rispetto a certe forme di violenza. La fase acuta del Covid è stata poi seguita da un liberi tutti che talvolta, ha portato a comportamenti devianti».

Come si affronta il problema?

«Raddoppiando l’attenzione verso le nuove generazioni che evidentemente hanno bisogno di riattivare un confronto con gli adulti. È troppo facile dire che serve più educazione o che è colpa della scuola. Ed è limitativo pensare solo alle punizioni, che ovviamente devono esserci, ma che non bastano. Occorre capire cosa spinge i ragazzi a cercare, nella supremazia del branco, una risposta ai propri problemi. È necessario farlo tutti: la società nel complesso, gli educatori in primis. Ovviamente anche i genitori dei ragazzi coinvolti che però, a fronte di certi episodi, dovrebbero prima di tutto avviare una riflessione su se stessi».