Firenze, 11 luglio 2018 - Dissolti i fantasmi della guerra fredda e della divisione del mondo in due blocchi – quello occidentale sotto l’ombrello americano e quello sovietico – non diminuisce l’importanza strategica delle basi statunitensi in Italia rispetto alle minacce che vengono dai nuovi scacchieri internazionali di crisi. E che oggi arrivano soprattutto da Oriente, dove il germe del fanatismo religioso arma la mano di nuovi e più subdoli nemici. Prima di tutto l’Isis e il terrorismo di matrice islamica, ma anche le numerose situazioni di crisi che richiedono azioni di intelligence, ma anche interventi militari con truppe sul campo. E in questo scenario la base a stelle e strisce di Camp Darby – il più grande arsenale Usa fuori dalla madrepatria, sprofondato in un migliaio di ettari della pineta di Tombolo, alle spalle di Tirrenia, tra Pisa e Livorno – continua a rivestire un ruolo e una posizione strategici.
LO HA CONFERMATO ieri mattina il colonnello Erik Berdy, comandante della guarnigione Us Army Italy presso le sedi di Vicenza e Camp Darby, che ha fatto visita alla sede centrale de «La Nazione» di Firenze, accolto dal direttore Francesco Carrassi. Insieme al comandante Berdy erano presenti il console generale degli Stati Uniti d’America di Firenze, Benjamin Wohlauer e il manager responsabile della base di Camp Darby, Catherine Miller.
LA BASE – con i suoi 1.400 addetti tra personale militare e civile, 450 dei quali dipendenti italiani – è attiva dai primi anni Cinquanta e porta il nome del generale William O.Darby, morto per l’esplosione di una mina tedesca nel 1945, negli ultimi giorni di guerra. È prevalentemente una santabarbara e dispone di 125 bunker disseminati nella pineta, pieni di bombe, razzi, munizioni, esplosivo ad alto potenziale oltre a centinaia tra tank, blindati, jeep e camion. Svolge un ruolo di supporto logistico fondamentale e assicura capacità di rifornimento di armi ed equipaggiamenti completi alle truppe in tempi molto brevi, sensibilmente ridotti rispetto a quanto richiederebbe un trasferimento diretto dagli Usa.
Un imponente arsenale dunque, quasi sempre movimentato in occasione dei diversi conflitti in atto. Da qui sono partite ad esempio le munizioni per la Guerra del Golfo e per le operazioni nei Balcani, in Iraq e Afghanistan. «Negli anni – spiega il comandante Berdy – la missione della struttura non è sostanzialmente cambiata. Si conferma il ruolo chiave come supporto alle operazioni internazionali della Difesa statunitense e a quelle in ambito Nato. Ma qui si svolgono anche addestramenti di personale militare italiano e statunitense» osserva il comandante, offrendo assicurazioni sul mantenimento dei livelli occupazionali dopo che, in anni non lontani, si era assistito a una diminuzione degli addetti. Ma questo non significa anche un ridimensionamento del potenziale della base. È solo che le nuove tecnologie e l’automazione necessitano di un uso ridotto di forza lavoro. Anzi, l’amministrazione statunitense sta per dare il via a una massiccia riorganizzazione delle infrastrutture all’interno del bunker: un investimento di 30 milioni di dollari, confermato ieri dai vertici della base, per realizzare un nuovo troncone ferroviario e il rifacimento di una articolata banchina attrezzata lungo il canale navigabile che attraversa Camp Darby, collegato direttamente al porto di Livorno, in modo da garantire una più rapida ed efficiente movimentazione dei carichi di armi che arrivano o che partono via mare, direttamente dal porto di Livorno. Un intervento che – spiega il comandante – consentirà anche di garantire più elevati standard di sicurezza potenziando appunto i sistemi di trasporto interno alla base.
MA Camp Darby – da sempre obiettivo delle proteste dei movimenti di estrema sinistra – custodisce anche enormi magazzini pieni di aiuti umanitari. Si tratta di migliaia di stock di provviste, vestiario, ospedali da campo, potabilizzatori a supporto di azioni a favore delle popolazioni civili. Gli ultimi interventi in ordine di tempo sono avvenuti in Albania e Armenia.