AMADORE AGOSTINI
Cronaca

I cavalli svenduti e un buco milionario. Centro Ippico, 22 indagati eccellenti

Nomi della moda e del vino coinvolti nel fallimento dello storico club fiorentino. Nel mirino della Procura la gestione dei bilanci

Un'esibizione al Centro ippico toscano

Firenze, 1 giugno 2021 Ventidue indagati, tra loro i nomi del salotto buono di Firenze. Ieri hanno scoperto di essere sotto inchiesta per bancorotta fraudolenta. Uno tsunami che nasce dal crac dello storico club ippico cittadino, travolto da un buco nei bilanci fra i cinque e i sette milioni di euro se si considera anche la seconda holding, la "Società Toscana per il Cavallo da Sella", cassaforte societaria alla quale facevano capo le proprietà immobiliari dell’area: quarantamila metri quadrati fra l’Arno e il parco delle Cascine. I pm Luca Turco e Christine Von Borries hanno notificato ai ventidue esponenti della Firenze bene un avviso di conclusione delle indagini per bancarotta fraudolenta e sottrazione di beni dell’attivo fallimentare. Ipotesi di reato molto serie che chiamano in causa Albiera Antinori, Ferruccio Ferragamo, Guido Francesco Poccianti o Stefano Rosselli Del Turco. Questi sono quattro dei 22 indagati per il fallimento dell’equitazione fiorentina. Poi ci sono i commercialisti di fama, imprenditori rinomati. I magistrati fiorentini chiedono conto a tutti della gestione del Cit e del Cavallo da Sella che insieme hanno sommato uno sprofondo rosso di circa sette milioni di euro. Nel mirino della giustizia è finito anche Oliviero Fani. E ancora: Piero Angeletti, Carlo Meli, Agnese Mazzei, il commercialista vip Giuseppe Urso, Enrico Poli, più volte componente del consiglio direttivo del Cit. I capi di imputazione contestati a vario titolo agli indagati sono 12, tra presunte omissioni, mancati controlli, rischiose operazioni di accesso al credito. Particolarmente spregiudicate, annotano i pm, se in quel momento su di te pende la spada del fallimento: alla fine il buco nei bilanci della "Società Toscana Cavallo da sella" sarà di 5 milioni di euro.

Un esempio per tutti di questa disinvoltura nella gestione dei bilanci: il parco cavalli nel 2008 è di 29mila euro, nel 2009 s’impenna fino a 252mila e nel 2017 arriva a 418mila euro. Poi, improvvisamente, solo l’anno dopo sprofonda a 51mila euro. Com’è possibile? Facile, dal momento in cui – solo per fare uno fra gli esempi riportati nelle carte dell’inchiesta – uno splendido animale valutato 80mila euro viene ceduto a un giapponese per 33.300 euro. Che fine hanno fatto i soldi non incassati? Secondo l’ipotesi accusatoria, si venderebbe tutto quel che c’è prima di finire nella procedura fallimentare che bloccherebbe tutte le cessioni, privilegiando i creditori. E dunque è questa la parabola dell’ultracentenario Centro ippico, quarantamila metri quadri di paradiso fra l’Arno e le Cascine dove per decenni si è divertito il salotto buono della città. Uno degli angoli nobili di Firenze, nato ai primi del Novecento in via degli Orti Oricellari, quando i cavalli attraversavano Porta al Prato per andare alle Cascine. Oggi sarebbe impossibile. Come impossibile appare oggi quel Centro ippico di allora, immagine di una Firenze del tempo che fu.