Firenze, 17 dicembre 2024 – Professor Luigi Burroni (ordinario di sociologia economica
dell’Università di Firenze) perché abbiamo bisogno di classifiche?
“Le ricerchiamo da sempre perché una lista, dei numeri, una graduatoria ci aiutano a semplificare fenomeni complessi. Le classifiche rispondono al nostro bisogno di leggere in modo semplificato la complessità, come appunto succede con la qualità della vita, fenomeno multidimensionale”.
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Possono essere utili, ma anche fuorvianti?
“Sono utili quando ci danno un contributo per individuare punti di forza e debolezza, ma possono anche influenzare la percezione soggettiva. D’altra parte laddove ci sono problemi sociali rilevanti, non c’è bisogno di graduatorie per percepirli. Una classifica del genere cerca di tenere insieme una grande pluralità di dimensioni e sconta il fatto che alcune sono difficilmente misurabili, come il benessere soggettivo o quello relazionale. Piuttosto classifiche del genere possono attivare campanelli d’allarme, ma che poi richiedono approfondimenti seri”.
Nella graduatoria di quest’anno, le grandi città come Milano, Firenze, Roma scendono
di diverse posizioni. Come si spiega questo fenomeno?
“Le realtà metropolitane nel nostro Paese hanno sempre grandi difficoltà, con fenomeni comuni che le interessano: c’è in Italia un filo rosso legato alle difficoltà di governo delle aree metropolitane”.
Per quali motivi?
“Essenzialmente per 4 fattori: il primo è la marginalità e le diseguaglianze che da sempre si
concentrano nelle realtà metropolitane. Poi c’è la crescita del costo della vita, a partire dal prezzo delle case e dai costi dei servizi. Terzo, ci sono i flussi turistici così intensi che sono complessi da gestire: portano ricchezza, ma anche difficoltà di governo. Sono infine caratterizzate da una polarizzazione sociodemografica: abbiamo tanti giovani che richiedono ad esempio servizi e offerte culturali in contrasto con una crescente popolazione che invecchia e che è più interessata ad altri servizi, come ad esempio quelli sanitari. Gestire una domanda così polarizzata non è certo facile”.
Quali potrebbero essere, dal punto di vista sociologico, le strategie concrete per invertire questa tendenza e migliorare gli indicatori di benessere urbano?
“Le città come Firenze (seppur con dimensioni diverse da Roma o Milano, ma altrettanto
complessa) devono rivedere questi 4 fattori. Ci vuole attenzione al costo della vita, alle politiche dell’edilizia e soprattutto alla marginalità, con una logica di intervento non repressivosanzionatoria, ma preventiva. Devono tornare a essere le città di chi le abita piuttosto di chi le visita. Laddove ci sono flussi turistici importanti, si rischia di ruotare troppo attorno al turismo e di dimenticare i propri residenti, che così sentono la città meno propria”.
Da fiorentino di nascita e di lavoro, come valuta questa diminuzione di 30 posizioni nella
classifica del «Sole»?
“Queste graduatorie utilizzano dati complessi che favoriscono oscillazioni importanti. Non bisogna viverle con allarmismo, ma come uno spunto di riflessione. Il governo della città non può certo basarsi su studi di questo genere, per quanto realizzati da un media prestigioso, che possono essere uno stimolo per approfondire certe tematiche in maniera seria, senza minimizzare né fare allarmismi”.