Firenze, 19 febbraio 2023 – “La poesia non è di chi la scrive, è di chi gli serve!”. “Io sono responsabile di quello che dico, non di quello che capisci”. “C'è chi sostiene che per raccontare belle storie basta guardarsi attorno. Io non ci credo, perché se così fosse i vigili urbani sarebbero tutti Ingmar Bergman.” “Diamo sempre la colpa alla fame: lamenti, vigliaccherie, delitti... di chi è la colpa? Della fame. Sarebbe vero se chi non c'ha fame si comportasse bene, ma non mi sembra.” Sono solo alcune delle tante perle che Massimo Troisi ci ha lasciato. Oggi avrebbe festeggiato 70 anni se un "cuore matto" non ce lo avesse portato via nella livida notte del 4 giugno 1994. Da poche ore aveva concluso le riprese del suo ultimo film (il "Postino") ed era a casa della sorella Annamaria al Lido di Ostia, quando fu stroncato all'età di 41 anni da un attacco cardiaco conseguente all'ennesimo episodio di febbre reumatica. Il paradosso è che quella notte non ha fissato soltanto la data di una tragedia umana, ma lo ha reso immortale nella sua eterna giovinezza. Non possiamo pensare oggi a Massimo come a un quieto settantenne, perché la sua arte, la sua mimica, la sua umanità restano cristallizzate in uno slancio vitale che è solo dei grandi artisti e dei poeti. Un destino, il suo, segnato fin dall'infanzia: ultimo di sei figli, legatissimo al padre ferroviere, al centro di una famiglia accatastata nella casa di Via Cavalli di Bronzo in cui vivevano anche due nonni, due zii coi loro cinque nipoti, si ammalò al cuore fin da ragazzino, ma non amava parlarne, e dei suoi problemi cardiaci erano al corrente solo in pochi. In teatro debuttò a 15 anni sul palco parrocchiale con Lello Arena e altri amici per rimpiazzare un attore che non si era presentato. Studiava da geometra, ma la passione per la poesia e la recitazione lo contagiò come un fulmine. Due anni dopo vestiva già la maschera di Pulcinella in una farsa di Antonio Petito a cui aveva impresso un svolta rivoluzionaria, sul filo della trasformazione della scena partenopea. “Era il momento del teatro alternativo d'avanguardia e tutti volevano usare Pulcinella. Rivalutarlo. C'era Pulcinella-operaio, e cose del genere. A me questa figura pareva proprio stanca. Pensavo che bisognasse essere napoletano, ma senza maschera, mantenere la forza di Pulcinella: l'imbarazzo, la timidezza, il non sapere mai da che porta entrare e le sue frasi candide". Insieme agli amici del gruppo teatrale "RH-Negativo" (poi ribattezzato "I Saraceni") Lello Arena ed Enzo Decaro cominciò ad avere i primi veri successi nonostante la parentesi di un viaggio a Houston per sostituire la valvola mitrale. Il gruppo cambiò ancora nome ("La smorfia") ed è con questi compagni di viaggio che Massimo Troisi sbarcò in televisione nel 1977 con "No stop", intuizione anti-narrativa nel panorama degli show di quegli anni. Allo sciogliersi del sodalizio, nel 1981, Troisi era già una star col suo parlare strascicato, la calzamaglia nera, la follia quasi surrealista dell'improvvisazione. Scommise su di lui il produttore Mauro Berardi in un momento di stanca del cinema italiano: nel giro di un anno realizzò il suo primo film "Ricomincio da tre". Girato in 6 settimane con un budget di 400 milioni di lire, uscì nelle sale italiane il 12 marzo 1981 e conquistò immediatamente il pubblico (14 miliardi di lire al botteghino), tanto che una sala di un cinema di Porta Pia, a Roma, tenne in cartellone lo spettacolo per più di seicento giorni. Vennero anche i riconoscimenti: due David di Donatello, tre Nastri d'argento, due Globi d'oro della stampa estera. Tra televisione e cinema (apparve come attore in "No grazie, il caffè mi rende nervoso" e diresse il paradossale quanto profetico "Morto Troisi, viva Troisi") era oramai una star corteggiata e assunto nell'empireo partenopeo a fianco di Eduardo e Totò. La scelta di interpretare "Il postino" (che aveva intensamente voluto dal romanzo del cileno Antonio Skarmeta), fu un gigantesco atto d'amore per l'arte e per quel personaggio: Troisi sapeva di stare ormai molto male e che doveva sottoporsi a un nuovo intervento al cuore. Rimandò quell'appuntamento oltre ogni limite per finire il film "con il suo cuore". Fu la fatica a stroncarlo. Oggi un genio come Troisi manca, nel cinema nella vita. Chissà cosa avrebbe detto di questo mondo, quali battute sarcastiche avrebbe fatto, quanti film avrebbe girato ancora. Nessuno può saperlo. “Oggi servirebbero 10mila Massimo Troisi - disse Lello Arena - per avere un po' di speranza nel futuro”. La poesia che Roberto Benigni scrisse per l’amico Massimo Non so cosa teneva dint'a capa; intelligente, generoso, scaltro, per lui non vale il detto che è del Papa, morto un Troisi non se ne fa un altro. Morto Troisi muore la segreta arte di quella dolce tarantella, ciò che Moravia disse del Poeta io lo ridico per un Pulcinella. La gioia di bagnarsi in quel diluvio di jamm, o' saccio, ‘naggia, oilloc, azz!; era come parlare col Vesuvio, era come ascoltare del buon Jazz. "Non si capisce", urlavano sicuri, "questo Troisi se ne resti al Sud!" Adesso lo capiscono i canguri, gli Indiani e i miliardari di Holliwood! Con lui ho capito tutta la bellezza di Napoli, la gente, il suo destino, e non m'ha mai parlato della pizza, e non m'ha mai suonato il mandolino. O Massimino io ti tengo in serbo fra ciò che il mondo dona di più caro, ha fatto più miracoli il tuo verbo di quello dell'amato San Gennaro.
CronacaBuon compleanno Massimo Troisi: oggi avrebbe 70 anni. Il ricordo di un genio