MONICA PIERACCINI
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Cronaca

Alluvioni, l’esperto: “Non prevenire è un errore. Ricostruire costa 10 volte di più”

Intervista a Federico Preti, presidente nazionale dell’Associazione italiana per l’ingegneria naturalistica e docente di Idraulica all’Università di Firenze: “Il problema è come abbiamo gestito e trasformato il territorio”

Federico Preti

Federico Preti

Firenze, 15 marzo 2025 – Mentre la Toscana fa i conti con l'ennesima emergenza idrogeologica, tra corsi d’acqua esondati, frane e smottamenti, in Sicilia le temperature hanno sfiorato i 30 gradi con venti di scirocco oltre i 100 chilometri orari, trasportando sabbia e riducendo la visibilità. Due facce della stessa crisi climatica, che evidenzia la crescente vulnerabilità del nostro territorio di fronte a fenomeni sempre più estremi.

Ne parliamo con Federico Preti, presidente nazionale dell’Associazione italiana per l’ingegneria naturalistica e docente di Idraulica all’Università di Firenze.

Quanto incidono i cambiamenti climatici sugli eventi che stiamo vedendo?

«Piove in maniera pericolosa con maggiore frequenza e con quantità di precipitazioni estreme che superano i record storici. Questo accade su un territorio già fortemente vulnerabile a causa dell’aumento del consumo di suolo nei fondovalle e dell’abbandono dell’entroterra. Il problema non è solo il clima che cambia, ma anche come abbiamo gestito e trasformato il territorio».

Gli interventi tradizionali, come il rialzo degli argini o la pulizia degli alvei, sono ancora efficaci?

«Non basta più alzare gli argini o tagliare troppo la vegetazione: in alcuni casi, queste operazioni possono addirittura aumentare il rischio a valle. Le frane si verificano più frequentemente nei versanti abbandonati, dove non c'è più manutenzione o gestione del territorio. L'approccio deve cambiare: bisogna puntare sulla prevenzione attraverso soluzioni basate sulla natura».

Per esempio?

«L’ingegneria naturalistica, sviluppata in Italia da oltre 30 anni e con radici nelle sistemazioni idraulico-forestali nate a Vallombrosa più di un secolo fa, fornisce risposte concrete. Ad esempio, possiamo rinaturalizzare il territorio, creare casse di espansione diffuse nei versanti collinari e ripristinare la capacità di ritenzione del suolo. Questi interventi costano fino a dieci volte meno rispetto alle spese per la ricostruzione post-catastrofe».

Ci sono studi che dimostrano l’efficacia di questi interventi?

«Sì, recenti ricerche condotte su bacini colpiti da alluvioni dall’Università di Firenze e da Aipin, l'associazione di cui sono presidente, hanno dimostrato che la pericolosità è aumentata del 20-30% a causa della perdita di trattenuta dell’acqua nei sistemi naturali e, considerando anche il cambiamento climatico, l’incremento arriva fino al 50%. Se poi si aggiunge il consumo di suolo, il rischio diventa insostenibile».

Quindi l'unica strada è intervenire a monte, prima che si verifichino i disastri?

«Esattamente. Intervenire a monte significa non solo prevenire alluvioni e frane, ma anche accumulare riserve d'acqua per i periodi siccitosi e ricaricare le falde. Inoltre, dobbiamo smettere di costruire in zone a rischio e, dove possibile, delocalizzare edifici e infrastrutture esposte ai pericoli idrogeologici».

Quali sono le prospettive future?

«Oggi servirebbero almeno tre miliardi di euro all'anno per mitigare il rischio idrogeologico in Italia, mentre ne spendiamo il triplo per riparare i danni dopo le catastrofi. Le strategie europee, sostenute anche dal Recovery Plan e dal Pnrr, vanno nella direzione della prevenzione, ma serve una pianificazione seria e investimenti mirati. Non possiamo più permetterci di rincorrere le emergenze, dobbiamo agire prima che i disastri accadano».