![Il dottor Carlo Bergamini Il dottor Carlo Bergamini](https://www.lanazione.it/image-service/view/acePublic/alias/contentid/NGVjYzBhZTgtZmRkYy00/0/il-dottor-carlo-bergamini.webp?f=16%3A9&q=1&w=1280)
Il dottor Carlo Bergamini
Firenze, 6 febbraio 2025 - Anche in Toscana, come nel resto del paese, la professione medica sta attraversando una profonda crisi. Ma quali sono i motivi? A delineare alcune ipotesi è il dottor Carlo Bergamini, dirigente della Sod di Chirurgia d’urgenza dell’ospedale fiorentino di Careggi e presidente del congresso di chirurgia laparoscopia Sice.
Come mai la professione medica registra meno interesse?
«Intanto va detto che la crisi ha più aspetti: riguarda la considerazione e popolarità della figura del medico, la sua professionalità e infine la vocazione. La motivazione principale, quanto subdola e forse non abbastanza riconosciuta, è a mio avviso da ricercare nei limiti e nei difetti di tutto il sistema, universitario e non, che si occupa della formazione dei giovani medici in Italia».
Cosa non funziona?
«C’è una diffusa tendenza a insegnamenti nozionistici e teoretici, evidenziando poco i risvolti pratici dell’attività clinica soprattutto all’università. Si ha poi spesso un’organizzazione assai improvvisata e sciatta dei tirocini pratici, pur previsti nella programmazione didattica. Sempre durante gli studi, viene trascurata o manca del tutto la metodologia clinica, ovvero quell’insieme di principi e di regole comportamentali e procedurali pratiche che sono il trait d’union tra le conoscenza teoriche e il concreto esercizio della professione. In sostanza non esiste una solida preparazione sul come “stare davanti al paziente”. In questo modo, l’ingresso nel mondo del lavoro diventa traumatico e ne risente anche l’autorevolezza del medico».
Si parla spesso anche di un eccesso di burocrazia. È così?
«Assolutamente sì: la proliferazione delle spettanze burocratiche, così esigenti e articolate, finisce per togliere tempo e ossigeno alla dedizione per la propria crescita culturale, scientifica e umana».
Lei ha parlato anche di un peggioramento nella considerazione che le persone hanno della figura del medico. Come mai?
«È un fenomeno con tanti aspetti, ma legato anche alla formazione. È importante, sia a livello clinico che relazionale sapersi porre in modo corretto nei confronti del paziente, per avere la sua fiducia. Questo richiede una forte preparazione introspettiva e il consolidamento del proprio spessore morale ed emozionale, purtroppo ignorati dalla struttura didattica italiana. Si è infatti fatta strada l’idea di un approccio specialistico e super-specialistico. Le scuole di specializzazioni tendono a indirizzare subito i neolaureati al proprio stretto ambito di interesse. Manca così un’infarinatura pratica a 360 gradi, e la gestione del malato, spesso complesso, si realizza attraverso un “ping-pong” tra specialisti che mal dialogano e mal interagiscono. Un percorso inceppato e schizofrenico, condizione foriera del fallimento o della riduzione di qualità nell’azione di “curare e rassicurare” che finisce per intaccare la fiducia generale dell’opinione pubblica».