Davide Costa
Cronaca

Moda, ora la crisi è strutturale. “Va rivisto il concetto di distretto”

Paolo Fantappiè, segretario Uil Toscana: “Mettere subito a un tavolo sindacati, istituzioni e aziende”

Paolo Fantappiè, il segretario generale della Uil Toscana

Paolo Fantappiè, il segretario generale della Uil Toscana

Firenze, 7 novembre 2024 – Più ombre che luci nel quadro regionale che la Uil ha presentato a margine dell’annuncio della mobilitazione in vista dello sciopero generale del 29 novembre che culminerà con una manifestazione che sarà organizzata probabilmente a Firenze insieme alla Cgil. Uno sciopero, spiegano il segretario generale Uil Toscana Paolo Fantappiè e il segretario confederale Uil nazionale Santo Biondo, contro una manovra dove non c’è una rivalutazione del potere d’acquisto degli stipendi, senza finanziamenti per fare un salto di qualità nella sanità pubblica e nelle politiche industriali, oltre al grande problema del precariato. Una manovra, secondo Fantappiè e Biondo, che mantiene le disuguaglianze all’interno della società.

Segretario Fantappiè, veniamo alla Toscana. Qual è, a suo parere, la situazione più delicata al momento?

“La grave crisi che sta vivendo la moda. Un settore che in Toscana dà lavoro a 110mila persone, delle quali 50mila vivono tra Firenze e Prato e che rappresenta il 40 % del manifatturiero della nostra regione. Una crisi strutturale, non legata a un momentaneo calo dell’interesse, ma che mette in discussione l’intero ‘sistema’, almeno per come lo abbiamo vissuto finora”. Il settore della moda, fra l’altro, martedì 12 a Firenze sciopera a difesa dell’occupazione. Quali soluzioni vede? “Trovare modalità per superare gli stessi concetti di distretto e filiera. E’ del tutto evidente che le cose non possano andare avanti a lungo in questo modo. Del resto finora in questo settore siamo stati abituati a una sorta di sistema coloniale produttivo, che vede la Toscana subire decisioni prese a migliaia di chilometri di distanza. Occorre mettere a un tavolo sindacati, istituzioni e aziende per affrontare il problema e progettare soluzioni drastiche”.

Ha qualcosa in mente?

“Va ripensata la filiera, frazionata in migliaia di aziende che non sono in grado di reggere al nuovo modello di sviluppo, al cambiamento delle abitudini e ai cospicui investimenti. Pensare a consorzi o fusioni tra aziende medio piccole non deve più essere un tabù”.

Se la moda piange, il tessile non ride.

“No. E le difficoltà sono molto più simili di quanto si possa immaginare anche per i distretti della pelle e del cuoio: il concetto di cui va tenuto conto è che i bisogni delle persone cambiano, i giovani hanno necessità e abitudini diverse rispetto a chi è più in là con l’età. Se aggiungiamo la crisi dell’export e una situazione economica e politica tutt’altro che rassicurante, con guerre e tensioni a poche migliaia di chilometri da casa nostra, il quadro è completo”.

Sempre in tema di scenari difficili parliamo di Piombino. Qual è la vostra posizione?

“Stiamo aspettando di leggere gli accordi di programma per capire quale sarà la direzione. Nell’attesa non possiamo che mantenere un atteggiamento guardingo: ci sono oltre 1.500 lavoratori in cassa integrazione per i quali va trovata una soluzione soddisfacente”.