Firenze, 12 febbraio 2021 - La battaglia di Rosa Oliva aprì le carriere pubbliche alle donne. Nel 1960 vinse il ricorso presso la Corte Costituzionale, dopo il rifiuto del Ministero dell’interno di essere ammessa, in quanto donna, al concorso per la carriera prefettizia. Appena laureata in Scienze Politiche, ebbe il coraggio di dire no: e assistita dal suo professore universitario Costantino Mortati, uno dei padri del diritto costituzionale, la norma fu dichiarata illegittima, e dunque abolite le discriminazioni di genere nelle carriere pubbliche.
A sessant'anni da quella sentenza storica della Consulta, da cui sono scaturite successive conquiste sul piano del riconoscimento giuridico per le donne italiane, si è tenuta una riflessione a più voci sul delicato percorso della piena parificazione dal titolo ‘Per una uguaglianza sostanziale. Dialogo a sessant’anni dalla sentenza n.33 della Corte Costituzionale’. Alla tavola rotonda virtuale organizzata dall’Associazione Nazionale dei Funzionari dell’Amministrazione Civile dell’Interno, moderata dalla direttrice de La Nazione Agnese Pini, e introdotta da Laura Lega, segretario generale dell'Anfaci, hanno partecipato donne che hanno raggiunto i vertici dell'amministrazione pubblica: Marta Cartabia, presidente emerito della Corte Costituzionale, Margherita Cassano, presidente aggiunto della Corte di Cassazione, Antonella Polimeni, rettrice dell'Università La Sapienza di Roma, Anna Maria D'Ascenzo, già prefetto della Repubblica, e Rosanna Oliva de Conciliis, presidente dell'Associazione Rete per la Parità. Il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese ha curato le conclusioni dell'incontro.
“Quella sentenza – ha detto il prefetto Laura Lega - è andata ben oltre quello che è stato il sancire la garanzia dei diritti di parità, dando concretezza agli articolo 3 e 51 della Costituzione. Ha saputo leggere il cambiamento in atto che percorreva in quegli anni e ha aperto un percorso, riuscendo ad arricchire e valorizzare il patrimonio delle competenze di chi esercita potestà pubbliche. Una sentenza anticipatrice anche rispetto a quella che è stata l’evoluzione sociale. Oggi le donne sono oltre il 57% della carriera prefettizia, e poco più del 37% è prefetto. D’altronde la nostra professione è fatta di un mix di competenze non solo giuridiche, che si coniugano con una capacità di dialogo, mediazione e resilienza, di chi deve saper ricucire sui territori quelle che sono le fratture sociali, oltre che saper creare la collaborazione tra attori sociali ed economici. Un ruolo che richiede capacità che sicuramente possono essere arricchite anche dalla componente femminile. Dobbiamo vivere pienamente il nostro tempo, e questo è il tempo del merito e della competenza e non delle diversità, che deve essere un valore aggiunto e non un fattore di esclusione”.
“Anche un grandissimo studioso come Costantino Mortati, - ha detto Marta Cartabia, presidente emerito della Corte Costituzionale e appena nominata ministra della Giustizia - aveva puntato i suoi argomenti su degli aspetti molto tecnici: temeva che non fosse sufficiente sottolineare la violazione della disuguaglianza di genere. Ritenendo bisognasse radicare sul terreno più saldo e meno esposto a possibili divisioni ideologiche, una svolta che aveva deciso di accompagnare difendendo la causa di Rosa Oliva. Fu la Corte Costituzionale a dire che prima ancora di un problema di fonti e di tipo tecnico, quella norma non poteva rimanere nel nostro ordinamento perché era frontalmente in violazione dell’uguaglianza di genere sancita dagli articoli 3 e 51 della Costituzione, che stabilisce la parità di accesso ai pubblici uffici. Quella sentenza è stato l’inizio della ‘pulizia’ dell’ordinamento da tutti quei residui di norme, che contenevano delle discriminazioni dirette, aperte, che escludevano le donne da determinati ambiti. Un percorso lungo che ci piacerebbe dire compiuto, ma oggi è interessante sottolineare l’ordinanza odierna della Corte Costituzionale sulla questione del patronimico, perché ravvisa nell’esistenza di questa regola che consente la trasmissione del nome di famiglia soltanto per via paterna, un residuo di quella violazione. Dunque anche il 12 febbraio 2021 è una giornata da ricordare perché sono state intercettate delle ‘scorie’, come dice la Corte Costituzionale, “di una mentalità retaggio della concezione patriarcale della famiglia” che si esprime appunto nella regola del patronimico. Quindi un percorso dell’eguaglianza iniziato allora e che oggi ha significativamente quest’altra espressione. Il percorso dell’uguaglianza non avviene soltanto attraverso la rimozione delle discriminazioni dirette, è una via più complessa. C’è anche la discriminazione indiretta, laddove le normative trattano in modo uguale situazioni che invece devono differenziarsi: ad esempio, una famosa sentenza del ’93 della Corte Costituzionale riguardava la richiesta di eliminazione dei limiti di altezza a determinate professioni perché erano state calibrate sull’altezza media degli uomini e quindi escludevano tendenzialmente le donne. E poi c’è la necessità, a volte, di misure positive, che nell’introdurre una diversificazione, in realtà, in nome dell’eguaglianza sostanziale, cercano di coprire uno scarto, una esclusione storica che grava ai danni di determinate categorie. Il punto della nostra epoca è questo: far dialogare per una piena parità, la rimozione delle misure discriminatorie con la valorizzazione delle diversità”.
“Se noi oggi siamo a parlare di questi argomenti – ha detto Margherita Cassano presidente aggiunto della Corte di Cassazione - è grazie a 21 donne che furono presenti nell’Assemblea costituente e che con straordinaria modernità e lungimiranza posero la questione della parità. E mi piace ricordare, perché poco si fa, un documento del 26 giugno del 1946 dell’Unione Donne Italiane, che sottopose alle donne elette in assemblea un elenco di norme da inserire nel testo costituzionale. Nel 1953 Piero Calamendrai dovette polemizzare contro coloro che sostenevano che alle donne mancherebbe quel requisito psicologico che è richiesto in maniera specifica per l’ufficio del giudice: cioè il “raziocinio e l’attitudine a sillogizzare, che nella donna sarebbe soverchiato dal sentimento”. Il processo di progressivo adeguamento della legislazione ordinaria ai principi costituzionali è avvenuto grazie all’intervento del giudice ordinario e amministrativo. Questo fenomeno mi colpisce perché è stato necessario l’intervento della giurisdizione per attuare principi che avrebbero forse potuto trovare un riconoscimento, prima ancora che per via giudiziaria, in sede culturale e sociale. Il contenzioso che ha accompagnato il percorso delle donne per approdare a determinate tappe, evidenzia lo scarto che c’è anche ora, nel 2021, tra il sentire della società e le regole che sono ad essa sottese”.
“Se 60 anni fa, quando ero in quell’aula – ha detto Rosanna Oliva de Conciliis - mi avessero detto che oggi, 60 anni dopo, mi sarei trovata in un convegno come questo in cui si parla ancora di ‘scorie’ esistenti, non so come avrei reagito. Ho studiato Scienze Politiche ma ignoravo la storia delle donne: avevo tutti docenti maschi, volumi scritti da uomini, in cui era assolutamente oscurato tutto ciò che riguardava la grande partecipazione delle donne alla società, in particolare quella avvenuta nell’Ottocento che aveva portato alle suffraggette. Da dove mi è arrivato allora il messaggio? Dalla Costituzione. Leggendola mi accorsi che c’era in essa una forza innovativa che avrebbe potuto abbattere quelle differenze, che io conoscevo, tra me donna e i miei colleghi uomini. La mia è stata una scelta coraggiosa? Non la ritengo tale. Costantino Mortati è stato un uomo illuminato. E io mi sono sentito motivata dal testo Costituzionale. Al punto che se mi dicessero di salvare un solo articolo, io salverei l’articolo 3. Ma non solo perché difende il destino di noi donne: piuttosto perchè difende il destino dell’intera società e migliora la condizione di tutti, anche degli uomini”.
“L’uguaglianza sostanziale ancora non c’è – ha detto Anna Maria D'Ascenzo già prefetto della Repubblica - Si è parlato degli uomini, ma poco si sottolinea che anche le donne non avevano un concetto positivo verso le donne che, come me, avevano acquisito per la prima volta un certo tipo di incarico tipicamente ‘maschile’. Ho avuto la sensazione che al Ministero dell’Interno le cose andassero meglio che in altri ambiti: si pensi alle donne medico e alle difficoltà spaventose che hanno dovuto affrontare. Sono stata la prima donna che entrava come funzionario: ero abituata a salutare, parlare e fare amicizia con tutti. Ma anche su questo mi venne detto e fatto notare: “Si ricordi che è un funzionario prefettizio, non può mettersi a parlare con gli uomini o altre donne”. Ricordo poi che, quando mi vedevano arrivare in auto, andavano incontro all’autista, a lui dicevano ‘eccellenza’. Non ritenevano possibile una donna prefetto. Certo, in questi anni le donne hanno fatto dei passi avanti grandissimi, però penso che raggiungere per una vera uguaglianza sostanziale si dovrà lottare ancora per anni”.
“Qualche dato – ha detto Antonella Polimeni, rettrice dell'Università La Sapienza di Roma - : negli ultimi 5 anni le donne laureate sono il 23% contro il 16% degli uomini in Italia, e anche rispetto alla media europea, questi numeri ci dicono che le donne stanno confermando un trend di crescita. In Sapienza, che è l’ateneo più grande d’Europa, abbiamo un numero di studentesse che è del 57% contro il 42% di studenti maschili, e si laureano prima e con voti più alti. Nelle lauree scientifiche abbiamo i dati invertiti. Bisogna lavorare in termini culturali per affermare un modello di leadership femminile che privilegia l’approccio dell’ascolto, della condivisione, del camminare accanto per far crescere, e in questo l’università ha un grande peso e responsabilità, nel ruolo che le è proprio di dover appunto guidare le nuove generazioni. Il punto vero ritengo sia quello di lavorare nell’abbattimento degli stereotipi, e d’altra parte bisogna lavorare su un modello di leadership femminile che è diverso e più ricco di potenzialità. Un dato correlato con l’emergenza in atto: è una conferma che nei Paesi in cui c’è una leadership femminile, l’emergenza è stata gestita con maggiore efficacia. Questo è il modello di leadership cui noi dobbiamo tendere, per cui noi dobbiamo lavorare e andare ad affermare”.
“Grazie a Rosanna Oliva de Conciliis – ha detto Luciana Lamorgese, che durante la diretta del webinar ha appreso di essere stata confermata ministra dell'Interno dal presidente Mario Draghi - è stata possibile la carriera prefettizia aperta alle donne: se oggi ci troviamo dunque in posizione di vertice, ciò è dovuto al suo coraggio e alla sua forza, capace di portare avanti un discorso di parità sulla base dell’articolo 3 della Costituzione. Oggi stiamo assistendo a un grande cambiamento della pubblica amministrazione, ma anche a me è capitato, arrivando con altri colleghi, che questi venivano salutati al posto mio: si riteneva che il Prefetto non potesse essere una donna. Sono però fermamente convinta che la leva del cambiamento della condizione della donna nella società è in atto ed è soprattutto un cambiamento culturale. Cambiamento che parte dal superamento di quei dogmi che discriminano sulla base del genere, che devono tradursi in un processo che io chiamo di modernizzazione. C’è però bisogno di un’organizzazione strutturata che consenta una modalità di conciliazione dei tempi di vita con quelli di lavoro, nell’ottica di un’amministrazione lungimirante che faccia delle differenze un valore. Invece, in questi ruoli di vertice, per essere considerati tali al pari degli uomini, c’è stata una nostra omologazione, tant’è che in termini di impegno lavorativo non abbiamo mai avuto orari e mai abbiamo messo davanti quelle che erano le esigenze familiari. Su questo ci sarebbe bisogno di servizi in modo da consentire alle donne di poter arrivare ai vertici. Non possiamo non dire che è grazie alla tenacia e all’impegno delle donne, così come di tanti uomini che hanno creduto in noi, se le distanze si sono accorciate. Anche se siamo ancora lontano dal traguardo completo di una piena parità”.