Arezzo, 31 maggio 2021 - Nel racconto-ricordo dell’autista, c’è l’incubo di un pulmino lanciato nelle campagne della Valdichiana come una nave alla deriva, nel quale lei non riesce a star dietro ai sette disabili psichici che sta trasportando, finchè uno di loro non la prende per un braccio e le fa perdere il controllo, col piccolo bus che si schianta contro un albero al lato della strada. Quasi una strage: tre morti, tutti ricoverati presso Villa Mimose, una struttura specializzata di Ferretto, comune di Cortona, al confine fra Arezzo e Perugia, e cinque feriti, fra cui appunto anche la guidatrice, un’operatrice socio-sanitaria dipendente di Villa Mimose, Fanica Iacomi, rumena ma residente a Castiglione del Lago. Era la tarda serata del 2 marzo 2020, ultimi giorni di normalità prima di Covid e lockdown.
Questa verità, cui il Pm Marco Dioni crede fino a un certo punto, sarà al centro dell’udienza preliminare di domani, in cui l’autista è accusata di omicidio colposo plurimo. Ma certo, dovesse emergere che davvero nel pulmino, un ormai datato Renault, c’era una situazione del genere, coi disabili agitatissimi ai quali far fronte, senza un altro operatore che li tenesse a bada, le responsabilità della giovane rumena scemerebbero di molto, fin quasi a scomparire. Anche perchè, dice lei, sul pulmino era accesa da giorni una spia che segnalava l’instabilità del mezzo e questo potrebbe aver contribuito alla tragica uscita di strada. Senza dimenticare che gli ospiti erano in ritardo sulla consueta somministrazione della terapia a base di psicofarmaci e anche cià potrebbe spiegare la loro irrequietezza.
Dioni ha invece agli atti il racconto (alternativo) di una delle passeggere (malata anche lei) del Renault. E lei dice che i suoi compagni erano tranquilli, che semmai era l’autista a guidare col cellulare tra le mani. Chi ha ragione? Si comincerà a vedere nell’aula del Gup Giulia Soldini, che deve decidere se mandare a processo la rumena.
Ma il caso è assai complesso, una specie di matrioska in cui un fascicolo ne contiene un altro. Ecco dunque che all’inchiesta principale, quella di Dioni, se ne sovrappone un’altra, affidata al Pm Elisabetta Iannelli, basata sull’esposto presentato per conto della guidatrice dal suo avvocato Marta Tofani. La procura ne aveva chiesto l’archiviazione per inconsistenza dei fatti, ma un altro Gip, Claudio Lara ha accolto l’opposizione della difesa e ha disposto un ulteriore approfondimento di indagini.
La tragedia del 2 marzo suscitò scalpore, ultimo incidente grave prima che l’Italia si fermasse per il lockdown. E subito, al di là delle immagini crude del pulmino sventrato dall’alberto, in località La Fratta, sempre comune di Cortona, nel cuore della bonifica leopoldina, a due passi dall’ospedale della Valdichiana, ci si pose il problema delle cause e delle responsabilità. Già nell’immediato erano cominciate a circolare le voci di un fuori strada in cui c’entrava anche l’agitazione di questi ospiti così particolari. Ma l’attenzione si era concentrata poi sulla velocità (nei limiti però dei 70 all’ora consentiti in quel tratto, un rettilineo all’uscita di una curva e prima di un’altra curva) e sulle responsabilità dell’autista.
Lei, dice l’avvocato Tofani, fin dal primo momento ha racconto sempre la stessa verità, quella che è poi contenuta nell’esposto, di cui siamo in grado di anticipare alcuni brani: Il passeggero seduto accanto a... (omettiamo i nomi Ndr) "strattonava violentemente il sedile di quest’ultimo ed infine....(altro nome) richiamava l’attenzione della conducente colpendola insistentemente al braccio. E’ stato in quel momento che Fanica Iacomi, impossibilità a fermarsi ha perso il controllo del veicolo". Il pulmino, per completezza, stava rientrando da una serata di ballo a Manciano (il paese di Roberto Benigni) e i disabili erano in ritardo di quasi due ore sulla solita distribuzione degli psicofarmaci delle 18.
Il Pm Dioni ritiene invece che, se davvero il gruppo era così agitato, l’autista avrebbe dovuto fermarsi prima. Quanto alla mancanza di un altro accompagnatore, gli altri dipendenti dicono che era la prassi. Hanno paura di perdere il lavoro, obietta la difesa. Versioni contrapposte e pochi elementi obiettivi, al di là dei rispettivi racconti. Un caso mai così spinoso.