Firenze, 12 aprile 2015 - Giacché pensiamo che i giornali siano innanzitutto grandi occasioni di proposta culturale, umana e civile, abbiamo da qualche giorno messo le nostre pagine al servizio di una causa che crediamo buona, non solo perché salva delle vite umane in special modo giovani, quanto perché essa svela la cattiva coscienza di tanta parte della classe politica così capace di strillare quando si verificano drammi ed eventi che producono titoloni nei giornali o in tv, e così veloce appena passa la bufera nel ripiegare su altri obiettivi in quel momento più in favore di telecamera. La politica del piccolo cabotaggio, quella che non ci piace e non ci interessa.
Perché quando si parla di centinaia di omicidi che ogni anno restano impuniti e la cui mancata punizione genera altri morti tutti si sturano le orecchie pensando di aver compreso male, poi quando quegli stessi vanno a rileggere le promesse dei politici e le confrontano con le misure in effetti prese, ecco che la delusione sale. Perché la battaglia per chiedere una legge sull’omicidio stradale, che stiamo sostenendo insieme alle associazioni di familiari delle vittime, è una di quella battaglie che in un paese normale non si dovrebbero neppure sostenere. Nel senso che in uno Stato serio, con politici seri che hanno a cuore il destino dei propri cittadini, non dovrebbero servire cortei, manifestazioni, campagne di stampa per chiedere che se uno si mette alla guida ubriaco e uccide un passante venga punito severamente e non rimandato a casa con tante scuse, come ha fatto la Cassazione un mese fa quando ha annullato la condanna a 21 anni per un albanese che procedendo ubriaco e contromano per 30 chilometri in autostrada aveva ucciso quattro giovani ragazzi francesi. In un paese serio una legge di questo tipo c’è da tempo. Quel paese non è il nostro.
Ultimamente, purtroppo in seguito a una serie di incidenti mortali che hanno scosso l’opinione pubblica e alla concomitante azione di tanti azzecarbugli come quei giudici di Cassazione appena citati che appellandosi a mille cavilli hanno sfidato il buon senso e la coscienza, ultimamente, dicevamo, qualcosa pare essersi smosso. E il 21 aprile scadrà al Senato il termine per presentare gli emendamenti alla legge sull’omicidio stradale così tanto invocata. Una legge «normale», sui cui principi sono tutti d’accordo, ma che ad arrivare a conclusione fa tanta fatica. Sono anni che il tema langue. Forse perché gli interessi (e i voti) che smuove sono pochi e così c’è sempre qualcosa di più urgente che imbocca la via della Gazzetta Ufficiale, magari qualche decreto salva-qualcosa, di sicuro perché la politica è abituata a pensare ed agire solo sull’emergenza. Stavolta speriamo sia la volta buona, e come ha promesso Renzi entro il 2015 la legge ci sia. La Nazione sarà lì a vigilare, e il 21 aprile saremo a Roma con le associazioni dei familiari. Altrimenti, se la politica fallirà anche stavolta, sarà omicidio statale.