Firenze, 30 marzo 2021 - La mamma di Edoardo Nesi, che ha 85 anni, non è stata ancora vaccinata e lui è profondamente turbato, direi persino incazzato. Ci saremmo dovuti vedere di persona, ma Nesi deve stare attento e mi ha chiesto se sono vaccinato, al che gli ho detto che no, Edoardo, non sono vaccinato, e allora, mi ha detto lui, bisogna vedersi su Skype.
Dopo un anno di videochiamate, di Zoom, di collegamenti televisivi a distanza, continuiamo a ipernavigare nelle nostre stanzette, sembriamo gli adolescenti descritti da Carmelo Bene (con la differenza che alcuni di noi, compreso il sottoscritto, ipernavigavano già prima) e confesso che mi dispiace, perché non vedo di persona Edoardo dall’agosto scorso, quando andai a trovarlo al Forte dei Marmi, dove ha casa e dove i Nesi passano le loro estati infinite. In compenso ci sentiamo spesso.
Sta scrivendo un nuovo romanzo, Nesi, da pochi mesi in libreria con “Economia sentimentale”, pubblicato dalla Nave di Teseo, ed è preoccupato perché nella Toscana felix gli ultra ottantenni non vengono vaccinati. Compresa sua mamma. Dopo un anno siamo ancora nel mezzo dell’emergenza sanitaria. Sembra un fine pena mai, gli dico. Nesi emette un sospiro. “È la cosa più sconfortante. Prima di tutto, questi annunci che vengono fatti giornalmente, anche da questo governo, non li ascolto più. ‘Arrivano un milione di vaccini, dieci milioni, cinque milioni’. Poi il modo in cui queste cose vengono comunicate è completamente sbagliato; a questo punto nessuno ci crede più. I miei amici a Roma e in Emilia-Romagna mi dicono che i loro genitori sono stati vaccinati. Mia mamma, che ha 85 anni, invece no. Quindi sì, c’è l’idea che questa cosa non finisca più ed è terribile. Hai la sensazione che per cominciare a finire ci sia bisogno ancora di un’altra cosa che deve succedere. Non siamo nemmeno sulla dirittura finale. Ci viene chiesto uno sforzo, però lo sforzo si fa quando si vede il traguardo, non prima del traguardo. I ciclisti ce lo insegnano. Non ce l’abbiamo il rettilineo davanti. Ci s’ha una terrificante salita. E uno non può non pensare all’Europa, agli errori che sono stati fatti per risparmiare qualcosa sui vaccini, come si legge nelle ricostruzioni. Sono andati là per fare i bulli e per risparmiare e hanno fatto un disastro assoluto. Uno si chiede come sia possibile, perché poi alla fine quando tu metti le persone a governare, hai sempre la sensazione che non siano così male. Tolti i grillini, intendo. Tu pensi che non le faranno cazzate come queste. Invece ti trovi di fronte all’incomprensione completa della situazione, che non era difficile da comprendere. Non era mica difficile da capire che tutto andava messo in secondo piano rispetto ai vaccini. Invece non è stato fatto. Insomma, è un fine pena mai davvero”.
Tutti in lockdown. “E io sto cominciando ad abituarmi al lockdown. Non si va più a cena fuori. Quando esco devo stare attento alla polizia. Anche lì, io non voglio avere paura della polizia, la polizia è quella che deve proteggere me. Io devo essere protetto da loro, non devo aver paura di loro che mi chiedono ‘lei dov’è andato, perché è andato là, cosa va a fare’. Sono cose da regime. Tutta la libertà che s’aveva prima mi sembra quasi invisibile. Io lo so che le persone quando fanno le interviste cercano sempre di dare delle visioni un po’ ottimistiche ma…”. Non preoccuparti, Edoardo, con l’ottimismo noi ci facciamo gli impacchi. “Ecco, s’è perso un po’ di vista la pacifica continuazione delle nostre vite. In qualche modo bisogna che questo cambi. Questo abituarsi al lockdown ce lo fa vivere meglio, ma comincio a pensare che stia pesando tanto su tutti noi e questo va combattuto. Da cinque mesi c’è il coprifuoco, nessuno ne parla mai. È un problema enorme, che ormai è stato interiorizzato. Siamo come gli uomini primitivi. Si sta in casa a guardare il tramonto. A me pare una cosa enorme non poter uscire fuori la sera. L’ho sempre fatto, anche quando ero a Roma a fare il deputato. Camminavo per ore. Era un modo per conoscere le città. Siamo sopravvissuti, ma a che prezzo? Siamo stati morbidi nel concedere certe cose. Ma come puoi immaginare una disobbedienza civile in tempi di pandemia? Quindi le uniche disobbedienze che ognuno di noi sta coltivando sono quelle private, in casa. Non a caso tutti si beve di più”.
A Edoardo Nesi mancano le cene con gli amici, il giovedì ne faceva sempre una. Ora è un anno che non li vede, quegli amici. Gente che sta a Prato. Anche al telefono non li sente più molto. E sono amici veri, importanti, non conoscenti. “È un enorme problema. È come se ci si allontanasse. Le video chiamate ci tengono vicini, sì, ma ho tanti amici che queste cose non le fanno. Molti sono più grandi di me, perché con loro mi trovo meglio, alcuni hanno settant’anni, sono dei settantenni eroici, ma non usano Skype”.
Insomma è molto deluso Nesi, amareggiato, sicché non ce la fa a vestire i panni dell’ottimista di maniera. Andrà tutto bene, state a casa. Eh no. In più abbiamo scoperto che anche la Regione Toscana ha qualche problema. “Una delusione cocente. Questo Giani, io l’ho votato perché non volevo che vincesse la Lega. Ho fatto questo discorso frontista che non faccio mai. Non credo mai a queste chiamate alle armi, però l’ho votato. Mi sembrava uno anche capace. Poi però sono stati vaccinati prima gli avvocati degli anziani e sono rimasto veramente senza parole. Avvocati e magistrati hanno una funzione importante, però in questo momento perché loro prima dei vecchi? Quando uno è al governo deve prendere una decisione nei momenti giusti e investire tutto in questa decisione e lì poi deve essere giudicato. Boris Johnson lo si prendeva tutti in giro, diceva che il Covid non esiste. Poi s’è ammalato, si vede che è servito perché ha cominciato a lottare come una bestia per avere i vaccini. L’altro giorno ha fatto quella dichiarazione che purtroppo poi ha smentito, e ha sbagliato a smentirla, in cui ha citato Gordon Gekko, evocando miti della mia gioventù. C’è poco da fare: i miei amici di Londra, quarantenni, sono già vaccinati. Un mio amico che ha la mia età è stato vaccinato, con tutte e due le dosi. Alberto Frilli, rappresentante tessile, un personaggio mitico. È di Prato ma sta a Londra. È un grande appassionato di calcio. Amico di Luciano Spalletti. Due anni fa, quando era ancora nella tua Inter, Spalletti stava controllando il campo, a Wembley. Pioveva, era sotto all’ombrello ed era con il Frilli. La cosa meravigliosa era che era Spalletti che teneva l’ombrello ad Alberto. A Prato fu vista come una consacrazione del Frilli”.
Insomma, dice Nesi, le cose da altre parti vanno meglio. “Io non voglio fare il vaccino prima, ma mia mamma sì, ha 85 anni e lo deve fare. Tocca a lei. A me non tocca, mi devo proteggere da me, perché questo ci chiede lo Stato: mettiti la mascherina, evita i contatti, proteggiti da te perché io, Stato, non posso farlo e se tu vai in ospedale in un momento come questo è un problema. A me sta bene, ma la mamma tu la proteggi te. Non vaccini prima un avvocato”.
Sicché, dice Nesi, “io non lo rivoto Giani se non prende le situazione in mano e secondo me tanti altri faranno così, perché queste sono le cose che uno si ricorda. A volte delle cazzate dei politici ce ne dimentichiamo, ma questa non te la scordi. Quindi deve stare molto attento questo signore a quello che fa in questi giorni. Io Rossi non l’ho mai sopportato. Però da buon comunista non avrebbe fatto vaccinare una categoria prima degli altri. Certe volte - poche volte - i comunisti ci vogliono. Lui avrebbe fatto meglio di sicuro. Non credevo possibile rimpiangerlo, invece sì, adesso sì”.
Ed Enrico Letta, neo segretario del Pd, ti piace?, chiedo a Nesi. “Letta mi piace di più di Zingaretti. È un po’ più di riformista, mi pare che abbia visto più mondo. Mi sembra una persona più aperta, più colta”. Va oltre il Grande Raccordo Anulare, insomma. “Sì mi pare uno che conosca più cose. Fin dall’inizio è sempre stato così. Non puoi dire che Letta non è uno che non conosce le cose, che non ha una sua cultura politica profonda, s’è sempre saputo. Insomma, è molto meglio”. Però è pisano. “Questo è il suo grande difetto, ma lo sa anche lui. Però deve recuperare”. Ma c’è stato un momento in cui eravamo nel cuore della stanza dei bottoni. Con Denis Verdini, con Matteo Renzi. La Toscana è stata l’epicentro politico di una aspirante rivoluzione (quella renziana). Ora è il tempo del governo Boris: “I toscani hanno devastato questo paese”. Siamo entrati in un cono d’ombra, suggerisco a Nesi. “Direi che ci siamo tornati. Anche perché s’era già abbastanza isolati. Prima chi c’era, Fanfani? I toscani sono sempre stati da parte. Prima di Renzi, a sinistra, come popolarità, c’era Letta appunto. Già prima insomma eravamo in un cono d’ombra e quindi bisogna stupirsi del fatto che la luce s’era accesa per quel breve momento. Bisogna cercare di avere prospettiva storica sulle cose”.
Comunque, dice Nesi, “Letta ha fatto bene a prendere Irene Tinagli, ottima mossa. La conosco molto bene, è una persona capace, intelligente, ha studiato le cose giuste, sa parlare, sa pensare. Io l’avrei vista come segretario se avessero avuto più coraggio. Ma non fa parte di nessuna cordata, è indipendente. Ci voleva uno indipendente, libero. Tinagli, se proprio fa parte di una corrente, rientra in quella dell’intelligenza”. Le danno della liberal-liberista. “Sì, perché viene da Scelta Civica. Ha creduto in certe parti della globalizzazione. Ne parlavamo spesso. Ma non era una di quelle che ci credeva acriticamente. Comunque, certo non è una zingarettiana, se mai esista una cosa del genere”. E Peppe Provenzano, l’altro vice? “Lo conosco poco. Ha ha detto 2-3 cose che mi hanno sorpreso durante i mesi di governo. Mi sembra più ortodosso, di una sinistra antica. Ripongo più speranza in Irene che in Provenzano”. Con Irene Tinagli vi siete conosciuti ai tempi di Scelta Civica? “No, ci conoscevamo prima, aveva fatto studi importanti su Prato. Molto informata. È venuta in Provincia da me a trovarmi. Conosce le cose e ha voluto vederle da dentro”. La politica ti manca? “Mentre la facevo, soffrivo un po’ perché non mi riusciva di immedesimarmi bene, di fare le cose come volevo fare. È comunque una grande esperienza. Metti la tua vita al servizio di una missione più alta. Al tempo stesso però quando ci sei capisci quanto è difficile farla i maniera produttiva. Era quello il problema, non mi sentivo produttivo. La vita politica è fatta di lunghissime pause, di tempi molto lunghi, dilatati; bisogna esserci nati per sopportarli. Tanti grandi imprenditori che erano con me, ne soffrivano. Ore ad aspettare le dichiarazioni di voti di partiti anche più piccolo del nostro”. E di Mario Draghi che ne pensi? “L’Italia ha vissuto un periodo che spero sia finito in cui veramente bastava poco per diventare una figura politicamente significativa. Questa cosa dei grillini spero che sia finita. Una cosa incredibile se ci pensi, l’idea che tu potessi prendere uno da una professione e metterlo non solo a fare il deputato o il senatore, che è una cosa enorme, ma addirittura il presidente del consiglio. Conte non mi era personalmente antipatico però vivevo come una sorta di intrusione che che lui fosse presidente del consiglio. Ecco ora spero che questo meccanismo, per cui tu prendi uno dalla strada e lo metti a governare sia finito. Draghi è l’esatto contrario”. Squilla il telefono. È Fabio Genovesi, uno di quegli amici che Nesi non vuole perdere.