ENRICO SALVADORI
Cronaca

Ermanno Lavorini, il primo bimbo rapito: 50 anni di misteri

Il bambino fu sequestrato in Versilia e ucciso. Eversione di destra e depistaggi

Ermanno Lavorini

Ermanno Lavorini

Viareggio, 30 gennaio 2019 - Oggi, mezzo secolo dopo, Ermanno Lavorini sarebbe un signore di quasi 63 anni. Quel venerdì dell’ultimo giorno di gennaio del 1969 si avviava verso i tredici. Era poco più che un bambino, timido ed esile, con i sogni di un adolescente che non vedeva l’ora iniziasse il Carnevale, in una Viareggio che si era già vestita a festa. Mancavano solo 48 ore ma Ermanno quel Carnevale non lo vide mai. Sequestrato, picchiato, ucciso. Era il primo kidnapping italiano, il rapimento di un bimbo che fece inorridire tutta Italia e non solo. La richiesta di riscatto era di 15 milioni, come riferito in una telefonata che arrivò lo stesso pomeriggio del sequestro a casa di Armando Lavorini, commerciante di tessuti nella zona del mercato. Al telefono risponde la sorella maggiore Marinella che resta impietrita e poi urla disperata. Ma Ermanno è già morto. Tre ore dopo il sequestro. Orrore, scandalo, depistaggi, polemiche. Successe di tutto in quei 39 giorni, dal 31 gennaio data della sparizione, al ritrovamento del cadavere la mattina del 9 marzo nella sabbia della pineta a 150 metri dal mare di Marina di Vecchiano, in territorio di Pisa. Fu anche un tragico happening: dall’Olanda piombò a Viareggio un sensitivo che ‘vide’ Ermanno morto annegato.    Ma ci furono anche tragedie nella tragedia. Come quella di Adolfo Meciani, 40enne benestante che bazzicava i ragazzini di vita della pineta che lo ricattavano. Rischiò per due volte il linciaggio pubblico e si impiccò in carcere, sconvolto dalla vergogna per accuse ingiuste. Avevano coinvolto lui e molti altri. Anche Giuseppe Zacconi, figlio del grande attore Ermete, che morì di crepacuore qualche mese dopo. Ma chi era stato? Quel rapimento per molti versi maldestro secondo i gradi di giudizio aveva come ideatori ed esecutori Marco Baldisseri, 16 anni ma già una vita vissuta tra mille espedienti, Rodolfo Della Latta, 20enne becchino, Pietro Vangioni, 20 anni. Frequentavano il Fronte Monarchico Giovanile. Ma due di loro anche la pineta, luogo di incontri preferito dagli omosessuali. Vennero inviati a Viareggio i migliori investigatori a livello nazionale; prima cercarono il maniaco e poi batterono subito l’altra pista. Quella dei pederasti, come si diceva allora.

In realtà nella vicenda c’entrava anche la politica, una tragedia che fu strumentalizzata in quell’anno che segnò l’inizio della strategia della tensione. Fu il primo episodio di eversione ad essere consacrato dalla storia giudiziaria. Arrivò in città anche il principe Junio Valerio Borghese, quello del fallito colpo di Stato di un anno e mezzo dopo, che lanciò durissime accuse alla sinistra. Tra confessioni, ritrattazioni, racconti di festini e ‘balletti verdi’, false piste e colpi di scena, il caso Lavorini fece parlare l’Italia. I ragazzi coinvolti si scaricarono le colpe fra di loro e azionarono la macchina del fango contro tutti. Il cambiamento delle versioni caratterizzò anche i passaggi giudiziari: il primo grado finì con la condanna a 19 anni di Baldisseri, 15 anni e 4 mesi a Della Latta mentre Vangioni fu assolto per insufficienza di prove. Sentenza modificata in Appello dove si certificò la tesi del movente omosessuale e in Cassazione dove però si legò il delitto all’eversione di destra, scrivendo che «è maturato nel quadro di un programma pseudopolitico». Con la condanna del terzetto per rapimento a scopo di estorsione e omicidio preterintenzionale. Insomma, lo picchiarono ma non lo volevano uccidere. Baldisseri prese 8 anni e 6 mesi per aver colpito Ermanno, provocandone la morte; Della Latta 11 anni per averlo seppellito, soffocandolo definitivamente; Vangioni ebbe 9 anni. Questa la verità processuale stabilita nel 1977. Ma andò veramente così?