Il 26 luglio 1952 muore Evita Peron, mito intramontabile

La sua salma rischiava di diventare un simbolo contro il regime, fu nascosta per ben 16 anni e portata anche in Italia. Ecco la storia del suo incredibile pellegrinaggio tra l’Argentina e l’Europa

Evita Peron

Evita Peron

Firenze, 26 luglio 2022 – Quando María Eva Duarte de Perón, per il mondo Evita, morì per un tumore il 26 luglio del 1952, aveva appena 33 anni. La sua è stata una vita breve ma intensissima, che ha lasciato in Argentina un segno profondo sia nella vita politica che sociale del Paese.

Era nata in provincia di Buenos Aires, visse in una famiglia irregolare, insieme a sua madre e i suoi quattro fratelli. Rimase orfana da piccola: suo padre, proprietario terriero, era morto quando la futura Evita aveva appena sei anni. Insoddisfatta della vita modesta che conduceva a Junín, dove i suoi si sono trasferiti, decise di emigrare a Buenos Aires quando aveva 15 anni, per inseguire il sogno di diventare attrice. Un sogno impossibile che, pur senza soldi, realizzò grazie al suo fascino magnetico, scalando in un baleno posizioni nel mondo dello spettacolo, sul palcoscenico come nel cinema. Ma il suo destino aveva in conto altro per lei. Nel gennaio del 1944 conobbe il colonnello Juan Domingo Perón, che si innamorò di lei. Nell’arco di due anni divenne la consorte dell’ufficiale che nel febbraio del 1946 vinse le elezioni presidenziali. Evita perorerà la causa dei più poveri e dei lavoratori, e la sua figura popolarissima, nota come la ‘Portavoce degli umili’, divenne oggetto di venerazione in Argentina.

Poco prima di morire, Evita chiese al marito di non essere dimenticata. Juan Peron, mezz’ora dopo il suo trapasso, chiamò un anatomista di fama per fargli cominciare il processo di imbalsamazione. Per tredici giorni il suo cadavere, truccato, pettinato e coperto da un sudario bianco, venne esposto nell’atrio della Segreteria di Buenos Aires per l’ultimo omaggio da parte di una immensa folla di cittadini. Quindi venne posta in una teca di vetro. L’idea era quella di tumulare il cadavere della first lady in un grande mausoleo a lei dedicato, ma prima che il progetto potesse essere completato, Perón venne rovesciato da un colpo di stato militare nel 1955. Dopo il peronismo, divenne illegale anche solo possedere un’immagine di Evita. Così ha inizio la vita dopo la morte di Eva Perón, e il tormentato viaggio della sua salma.

Il governo militare si chiese cosa fare con il corpo di Evita, che se per la gente era la Santa da amare e venerare, per i militari era un pericoloso simbolo contro il regime che andava cancellato. Seppellire il cadavere poteva far unire i peronisti fedeli e anche le masse che riconoscevano in Evita un idolo. Ci sarebbe stato un luogo dove pregare, un luogo di aggregazione. Evita, da morta, era percepita come più pericolosa che da viva. Furono perciò creati altri ‘cadaveri’, tre o quattro salme, ossia manichini con le fattezze esatte di Evita, per confondere la popolazione e non rivelare dove si trovava esattamente il corpo della vera first lady. Per oltre un decennio, il cadavere e le sue copie viaggiarono in diversi luoghi, attraversando l’Argentina e l’Europa. Il vero cadavere fu sepolto nel ‘57 in gran segreto a Milano, da dove è stato poi recuperato e restituito ai Perón dopo il ritorno dall’esilio in Spagna. Ma questi morì nel 1973 e la salma arrivò in Argentina solo nel 1974. La salma finì dunque nelle mani del regime, che decise di riconsegnarla ai familiari che la seppellirono nella tomba di famiglia. Prima di tumularla, furono elaborate eccezionali misure di sicurezza: due porte battenti, due scompartimenti, due bare e poi quella autentica di Evita. I biografi hanno sottolineato che la sua sepoltura è così sicura da resistere persino a un attacco nucleare.

Nasce oggi

George Bernard Shaw nato il 26 luglio 1856 a Portobello, Dublino. Grande scrittore e drammaturgo irlandese, nel 1925 è stato insignito del Premio Nobel per la letteratura. Ha scritto: “C’è chi vede le cose come sono e dice: Perché? Io invece sogno cose mai esistite e dico: Perché no?”.

Maurizio Costanzo