MAURIZIO COSTANZO
Cronaca

11 febbraio, inizia oggi il Festival di Sanremo: sapete che in realtà nacque a Viareggio?

La storia del Festival della Canzone Italiana nato in Versilia e finito in Liguria

Ariston (foto Ansa)

Ariston (foto Ansa)

Firenze, 11 febbraio 2025 - Ogni anno, mentre a Sanremo si accendono i riflettori del Festival della Canzone Italiana, a Viareggio si riapre il libro dei ricordi e delle recriminazioni. È difficile non pensare a come, nel Dopoguerra, proprio la città del Carnevale abbia ospitato per due edizioni la kermesse musicale prima di lasciarsela sfuggire. A raccontare quell’occasione perduta contribuiscono i documenti e le testimonianze di chi visse da vicino quella vicenda: un intreccio di scelte e intuizioni, ma anche di sviste ed errori che avrebbero cambiato per sempre il destino di due celebri località.

Il Festival della Canzone Italiana di Viareggio, che andò in scena in estate per due edizioni, nel 1948 e nel 1949, fu un’autentica rivelazione. L’idea iniziale, partorita da Sergio Bernardini e Aldo Valleroni, era semplice ma geniale: una rassegna di canzoni inedite che potesse coinvolgere tutta la città, con la partecipazione di orchestre, interpreti di talento e la trasmissione in diretta radio. L’appoggio della Rai permise fin da subito una risonanza nazionale, nonostante il Dopoguerra fosse segnato da difficoltà logistiche, a partire dalle continue interruzioni di corrente. Ci pensò allora il generale Frank Walters, comandante di Camp Derby a Tirrenia, a fornire i necessari accumulatori. La sera del 25 agosto 1948 la Capannina di Viareggio divenne il cuore pulsante della musica italiana.

Tra i dieci motivi in gara vinse “Serenata al primo amore” di Piero Moschini, eseguito da artisti del calibro di Brenda Gjoi, Narciso Parigi e Silvano Lalli, con l’orchestra diretta da Francesco Ferrari. L’entusiasmo dilagò, tanto che l’edizione successiva, un anno dopo, raccolse un successo ancora più ampio. Il 25 agosto 1949 fu la volta de “Il topo di campagna”, un samba di Aldo Valleroni interpretato da Gastone Parigi, giovane cantante e trombettista. Sembrava l’inizio di un’avventura destinata a durare a lungo, ma l’inverno del 1950 segnò la fine del sogno. Il marchese Bottini, allora direttore dell’Azienda per il Turismo di Viareggio, si mostrò irremovibile nel rifiutare quel progetto. Negò il finanziamento di cinquanta mila lire, definendo il Festival un’iniziativa di poco conto.

"Che importanza ha questo Festival? Chi sono questi pazzi che cantano? Non bastano le canzoni del Carnevale? La Capannina se vuole potrà ospitare una bella mostra di cani o l’annuale festa dei turisti svizzeri". Le sue parole, che tendevano a minimizzare la portata dell’evento e a ridurlo a una semplice iniziativa estiva, hanno segnato la storia culturale italiana in modo irreversibile. Alberto Sargentini, presidente del Comitato festeggiamenti e tra i più appassionati sostenitori del Festival, tentò in ogni modo di difendere l’idea, senza ottenere risultati. Ma senza quelle 50mila lire di finanziamento pubblico era impossibile per Sergio Bernardini (una delle sue prime geniali intuizioni) e Aldo Valleroni sobbarcarsi i costi. Quando arrivò in Versilia Pier Busseti, factotum del Casinò di Sanremo, a cercare spunti per rilanciare la riviera ligure, trovò in Bernardini e Valleroni la possibilità di spostare il Festival oltre i confini toscani.

Il sostegno della Rai non si fece attendere e la prestigiosa kermesse si avviò verso la sua nuova sede. Il 29 gennaio 1951 Sanremo alzava per la prima volta il sipario su quello che sarebbe diventato il Festival più famoso d’Italia, mentre Viareggio restava a guardare, con il solo ricordo di quelle due memorabili edizioni estive. La città ligure, da quel momento, avrebbe legato in modo indissolubile il proprio nome alla canzone italiana, mentre Viareggio, nonostante il suo prestigioso Carnevale, continuò a rimpiangere a lungo la miopia di chi non seppe cogliere l’opportunità. E così, in queste giornate di festa attorno al Festival, sono tanti i viareggini che ancora sospirano, rileggendo le cronache del tempo e ripensando a ciò che poteva essere e non è stato.