Firenze, 24 giugno 2021 - Da una parte lacrime e compostezza. Dall’altra, grida e proteste. Al processo d’appello per la morte di Duccio D ini, la corte emette altre due sentenze di condanna, così come richiesto dalla procura generale, per altri due componenti del commando che, mettendosi all’inseguimento del ’rivale’ rom, Rufat Bajram, cagionarono la morte del 29enne fiorentino, che la mattina del 10 giugno del 2018 (morirà il giorno seguente a Careggi) aspettava il verde in sella al suo motorino al semaforo di via Canova. Alle cinque condanne a venticinque anni - per omicidio volontario, sotto il profilo del dolo eventuale -, emesse in primo grado e confermate nel giudizio di ieri, se ne sono aggiunte quelle - per tentato omicidio di Bajram - a carica di Emin Gani ed Amet Kole, che dal precedente giudizio erano usciti indenni.
E mentre su un lato della grande aula 32, i Dini - il babbo Luca, la mamma Beatrice, la sorella Arianna -, hanno ascoltato stretti in un abbraccio le parole dei giudici e al termine si sono sciolti in un pianto liberatorio, sul lato opposto, imputati e loro famigliari non hanno nascosto il disappunto. Amet Remzi, il "vecchio", più anziano dai condannati, non ha esitato a gridare al razzismo. La sentenza ha anche confermato i risarcimenti alle famiglie, e, novità rispetto al primo grado, ha identificato nella compagnia assicurativa il responsabile civile di alcuni dei danni cagionati. Le motivazioni saranno pubblicate tra 90 giorni, ma a giudicare dal dispositivo letto in aula, si intuisce che è stato recepito l’appello del pm Giacomo Pestelli, che aveva allargato anche agli occupanti del furgone (che arrivarono ’tardi’ nell’inseguimento perché forarono una gomma) le responsabilità del tentato omicidio. Quanto agli altri, ha retto anche all’appello delle difese la più grave della accuse. E cioè che pestando forte sull’acceleratore di una strada trafficata (era domenica mattina), i cinque rom - su due auto differenti - si erano assunti il rischio che potesse succedere una tragedia. "Non c’è entusiasmo possibile per una sentenza che decide una vicenda così tragica ma per l’amministrazione comunale è importante che si sia fatta, ancora una volta, giustizia", ha commentato l’assessore all’Avvocatura di Palazzo Vecchio Titta Meucci. "L’11 giugno 2018 rimarrà per sempre nella nostra memoria - ha proseguito l’assessore - e purtroppo non c’è sentenza che possa restituire all’affetto dei suoi cari il giovane Duccio, la cui unica colpa è stata quella di trovarsi nel momento e nel luogo sbagliati. Spero che la decisione contribuisca, per quanto ciò sia possibile, a dare serenità alla famiglia Dini alla quale rinnovo tutta la nostra vicinanza".