STEFANO BROGIONI
Cronaca

Il condannato da morto ora rischia pure il carcere

Dopo il suo decesso, avvenuto nel 2019, gli era stata aumentata la sanzione E nonostante le comunicazioni gli è stata notificata l’esecuzione della pena

L’avvocato Giovanni Marchese

Firenze, 9 dicembre 2021 -  Nel dicembre del 2019, su queste pagine d i cronaca, La Nazione raccontò di una condanna sentenziata dalla corte d’appello benché l’imputato fosse già morto. La notizia ebbe un certo risalto. Non tanto perché, come imparano gli studenti al secondo anno di giurisprudenza, la morte del reo prima della condanna estingue il reato, ma per la cecità di una macchina pachidermica che una volta messa in moto trova difficoltà ad arrestarsi anche di fronte alla palese improcedibilità. Ebbene, il paradosso non si è fermato. E quindi, in questi giorni al morto è arrivata anche l’esecuzione della pena definitiva. O meglio, è arrivata al suo avvocato, Giovanni Marchese, per le difficoltà incontrate nelle notifiche all’imputato Marco N., ex custode dell’impianto sportivo del velodromo residente, da vivo, a Sesto Fiorentino. Marco N. è prematuratamente ed ufficialmente morto, come da certificato in nostro possesso, il 14 maggio del 2019, all’età di 53 anni. Esattamente sei mesi dopo, è stato condannato dalla corte d’appello per un fatto di peculato. Nonostante il suo legale, avesse avvertito i giudici che Marco N. era dipartito. Quel giorno, la corte d’appello gli aumentò pure la pena: dai sedici mesi inflitti in primo grado, in abbreviato, la condanna era salita a due anni e due mesi. Oggi definitivi. L’ufficio esecuzioni penali della procura generale ha avvisato il difensore che l’ordine di esecuzione è comunque sospeso, al momento, perché Marco N. ha diritto alla concessione di misure alternative alla detenzione, come i domiciliari o l’affidamento in prova. Ma se l’istanza non arriva, per Marco N. si apriranno inesorabilmente le porte del carcere, ammoniscono i magistrati. Il grande equivoco ha origine il giorno dell’udienza d’appello, il 14 novembre del 2019. L’avvocato Marchese non era mai riuscito a contattare il suo cliente, conosciuto sui campi di calcio frequentati dal figlio. Tra la discussione in aula del procedimento (Marco N. era imputato perché, da amministratore di fatto di un’agenzia di pratiche auto, si sarebbe trattenuto i soldi dei bolli che avrebbe dovuto versare all’Aci) e la sentenza emessa qualche ora più tardi, il legale aveva avuto la conferma, da un amico comune, che l’imputato era morto. La notizia è stata comunicata prima della lettura della sentenza, ma a quel punto i giudici non hanno fatto retromarcia. E la macchina della giustizia è andata ciecamente avanti, dedicando al morto quel tempo che sarebbe meglio riservare ai vivi.