FABRIZIO MORVIDUCCI
Cronaca

Toscana, la mappa delle frane: 40mila attive in regione

Veronica Tofani, docente al dipartimento di Scienze della Terra: “Servono prevenzione e tecnologia”

La frana che ha interrotto la statale della Cisa

La frana che ha interrotto la statale della Cisa

Firenze, 15 novembre 2023 – La Toscana ha un territorio complesso, che subisce gli effetti del cambiamento climatico e del consumo del suolo. Al Forum mondiale sulle frane in corso in questi giorni a Firenze, nel pieno di un’emergenza locale legata proprio all’esondazione dovuta proprio a fenomeni climatici incontrollabili, è il territorio regionale a tenere banco. Ne abbiamo parlato con Veronica Tofani, geologa e docente al dipartimento di Scienze della Terra, vice presidente del Consorzio mondiale sulle frane.

Si parla molto di prevenzione, cosa si poteva fare di più per evitare questa emergenza che stiamo vivendo sul territorio? «La riduzione del rischio passa attraverso la prevenzione, ma anche attraverso lo sviluppo di vari tipi di strumentazioni tecnologiche. Eventi come il forum servono a mettere insieme la comunità scientifica per un obiettivo comune».

Ma è possibile prevedere un evento franoso in maniera precisa?

«L’allerta sicura non esiste. Tuttavia stiamo sviluppando nuove tecnologie, nuove strumentazioni e modelli previsionali, che potranno portarci ad avere previsioni ‘quasi’ certe. La partita si sta giocando anche sullo sviluppo di modelli che prevedono il cambiamento climatico, ormai fondamentali per affrontare questi fenomeni».

Quali sono le zone più a rischio in Toscana?

«La Toscana è una zona con diverse aree attive: nel database abbiamo circa quarantamila frane mappate in regione. Le zone più fragili sono l’arco appenninico e Alpi Apuane. Ma non possiamo dimenticare che la nostra regione è anche cultura e arte, e su questo dobbiamo vigilare, così come vigiliamo sul territorio nazionale».

Esempi?

«Pienza. stiamo seguendo delle deformazioni che interessano il Duomo. Non bisogna farsi ingannare, le deformazioni alle strutture derivano da movimenti nel terreno. Come Pienza per esempio, c’è Orvieto che è ugualmente sito di un nostro studio. Nei luoghi ad alta valenza storico culturale, con Unesco abbiamo un progetto di ricerca che permette la valutazione della deformazione del terreno con tecnologie di monitoraggio non invasive: satelliti rilevano al millimetro la variazione del suolo e ci permettono di individuare le zone più critiche, e dove intervenire».

Qual è la nuova frontiera su cui state lavorando?

«Non possiamo vivere di sole previsioni. Oltre a questo, c’è uno studio di base sulla prevenzione: l’elaborazione di mappe che permettono di individuare le zone più a rischio di frana e come queste zone intersecano elementi di rischio che sono edifici e infrastrutture. Puntiamo a potenziare gli strumenti digitali che ci permetteranno di avere informazioni sulle probabilità che si verifichino eventi e l’incidenza di questi eventi nel tessuto antropizzato».

L’Università di Firenze su questo è un’eccellenza nazionale?

«L’università di Firenze è centro di Ateneo per la protezione civile ma anche centro di competenza del Dipartimento nazionale, oltre che Cattedra Unesco sulla prevenzione e gestione sostenibile del rischio idrogeologico. Lavoriamo molto sul monitoraggio, sia ‘in tempo di pace’ sia in emergenza su attivazione della protezione civile nazionale».