ANGELA BALDI
Cronaca

Gaza, un anno dopo. Pezzati, Oxfam: «Mai vista tanta devastazione»

Parla l’aretino Portavoce per le crisi umanitarie di Oxfam Italia

pezzati

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Arezzo 11 ottobre 2024 – Dopo un anno di conflitto, non si ferma la crisi in Medioriente. “Quando ormai un anno fa ho iniziato a seguire il dramma della popolazione di Gaza non avrei mai pensato che saremmo arrivati a vedere così tanto dolore e devastazione”. Parole di Paolo Pezzati tornato da Gaza da qualche mese, aretino e Portavoce per le crisi umanitarie di Oxfam Italia. Per il suo lavoro ha visto sfollamenti forzati, bombardamenti indiscriminati e l’uso della fame e della sete come armi di guerra.

Quello che sta accadendo a Gaza è anche la più grave crisi umanitaria del XXI secolo?

“Sono tornato da qualche mese da Gaza. Lì Oxfam è presente in maniera strutturata dal 1980 e da molto prima in Palestina. La crisi di Gaza per gravità e intensità è inedita, qualcosa che nel 21esimo Secolo non si era mai visto. Salvo i giorni di tregua che sono stati 6 in un anno, Gaza non è stata bombardata solamente 2 giorni. La popolazione vive in una prigione a cielo aperto da cui non può scappare. Da una parte il mare dall’altra il muro, la gente vive in trappola con bombe che cadono 365 giorni l’anno”.

Oltre ai morti ha toccato con mano il problema enorme degli sfollati?

“La popolazione è stata sfollata almeno 7-8 volte, è accaduto anche ai nostri operatori, i miei colleghi. Lavorano in situazioni molto difficili e hanno anche loro grandi problemi, hanno perso familiari e la casa, hanno da gestire traumi. Ci sono morti, feriti, migliaia di persone non identificate, disperse o ancora sepolte sotto le macerie”.

I numeri parlano da soli, ma cosa attraversa chi è rimasto in vita?

“I numeri sono impressionanti ma il problema è anche di chi è rimasto vivo. Le vere vittime sono gli sfollati che hanno perso casa e ricordi, i feriti, chi vive nelle tendopoli iper affollate. Ora la popolazione vive in un’area che rappresenta il 20% della striscia senza servizi di base e in condizioni igieniche precarie. La maggior parte si lava nel mare, c’è un bagno ogni 2mila persone. A tutto ciò si aggiunge lo stress di non sentirsi mai al sicuro con bombe che cadono tutti i giorni. E’ una fatica psicologica forte e in questo contesto i nostri operatori continuano a lavorare e a portare aiuto a una popolazione stremata. Sono 307 gli operatori umanitari morti chi lavora lo fa mettendo a rischio la propria vita, 167 i giornalisti deceduti. Abbiamo fornito assistenza a 776.917 persone”.

Quali le criticità più grandi incontrate nel portare aiuti?

“Abbiamo distribuito acqua potabile, cibo e beni di prima necessità, ripristinato servizi idrici e igienici, e garantito protezione ai più vulnerabili. La cosa più difficile è proprio portare i beni. Far arrivare alla frontiera gli aiuti è difficilissimo ci sono pratiche burocratiche complicate e controlli lunghi che possono addirittura far fallire l’ingresso di un intero carico. Esiste una dual use list, che elenca tutti i prodotti o componenti che possono avere un doppio uso anche militare, è lunghissima e arbitraria, costantemente aggiornata e se un tir e un pallet contiene uno di questi prodotti viene rifiutato l’intero carico. Da maggio è stato chiuso il valico di Rafah, gli altri funzionano a singhiozzo come nel sud est Kerem Shalom o Erez al confine con la Giordania. Ma a causa di altre misure restrittive è diminuito il numero di tir che possono entrare. La media ad agosto era di 67 tir al giorno, a settembre 53, prima del 7 ottobre 2023 erano 500 i camion che entravano ogni giorno, siamo a un decimo con una situazione in termini di bisogni umanitari cresciuta in maniera esponenziale. In più Gaza nord vive un assedio nell’assedio, isolata dal resto della striscia lì 400mila persone hanno ancora meno aiuti e rischiano carestia e fame”.

Cosa fa Oxfam adesso e cosa si può fare per aiutare la popolazione?

“Oxfam porta acqua o impianti di desalinizzazione caricati a pannelli solari perchè non c’e energia elettrica che manca come il carburante. Poi i kit igienico sanitari, la situazione igienica è grave, servirebbero infrastrutture mobili che non riescono ad entrare. Quando riusciamo portiamo pacchi alimentari e protezione: cerchiamo di organizzare i campi iper affollati in modo che i profili più vulnerabili siano salvaguardati come donne e bambini. Si possono sostenere le nostre petizioni online e le campagne che chiedono il cessate il fuoco, gli appelli al Governo italiano per un maggior impegno diplomatico e per un accesso umanitario sicuro (oggi non esiste luogo sicuro), ma anche il rilascio degli ostaggi. Chiediamo anche che venga interrotto il commercio d’armi a Israele. E si può donare perché aiutare sta diventando più caro in base alle restrizione che Israele sta mettendo sugli aiuti: i tir restano più tempo fuori e le organizzazioni come Oxfam devono coprire più costi”.

Non solo Gaza, l’emergenza si sta allargando insieme al conflitto?

“Ciò che accade in Libano è conseguenza del mancato cessate il fuoco a Gaza. Anche in Libano siamo presenti da anni. In Libano ci sono stati oltre 2000 morti più un milione di sfollati, si tratta di una cifra altissima perché il Libano ha 5,5 milioni di abitanti almeno il 10% della popolazione è sfollata. Un problema di gestione difficilissimo di questi solo 180mila hanno trovato riparo in rifugi il resto è per strada. Non parte l’anno scolastico perché i rifugi sono scuole. Gli ospedali sono al collasso e come a Gaza gli israeliani ordinano evacuazioni e sfollamenti. Le tracce di questa guerra resteranno per generazioni. A Gaza sono stati danneggiati più del 70% degli edifici ma anche dal punto di vista umano è un’apocalisse. Dopo la seconda guerra mondiale avevamo detto mai più a tante cose e invece sono tornate e questo disprezzo del diritto internazionale e la sfida all’ordine del dopo guerra ci renderà sempre più insicuri”.