CLAUDIO CAPANNI
Cronaca

Per non dimenticare i toscani di Auschwitz: dal tipografo di Schindler alla piccola Sissel

Giorno della Memoria, sono 137 le pietre d’inciampo a Firenze: ecco le storie dimenticate dietro quei nomi. L’unico italiano salvato da Schindler fu un fiorentino: Schulim Vogelmann

Firenze, 27 gennaio 2025 - Sono voci d’ottone. Ognuna, quando le pupille o la suola di una scarpa ci si piazza sopra, urla in silenzio la sua storia, seppellita nei 10 centimetri di metallo che, in 137 punti fiorisce dai marciapiedi di Firenze.

Pochi sanno ascoltare il grido muto inciso dietro a quei nomi e cognomi. Tutti accomunati da una data: 1943 o 1944. L’anno in cui hanno smesso di esistere e sono diventati pietre d’inciampo. Incastonate lì, nel punto che hanno calpestato nell’ultimo passo da donne e uomini liberi. Davanti alla casa, al portone, alle scale che hanno lasciato. Destinazione: Auscwhitz.

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L'ingresso del campo di concentramento di Auschwitz. Sono tante le storie dei toscani che finirono nell'inferno della barbarie nazista

Come Giulio Forti, nato a Firenze il 13 gennaio 1884. Nel 1943 ha 71 anni e vive in via Fossombroni. Lascia il suo palazzo al civico 2 per tentare, quell’inverno di fuggire dall’Italia occupata dai tedeschi.

Punta l’alto Verbano in Piemonte. L’idea è varcare il confine. Quelle montagnesono arcigne, è novembre e solo la notte può essergli amica. Sceglie una data di novilunio e, incapace di scalare da solo a quell’età si fa accompagnare con una traversata organizzata versando 25mila lire.

Lui e il suo accompagnatore però vengono arrestati dalla Guardia di Finanza della Rsi al confine di Valmara con la Svizzera. Viene portato a Milano ed è costretto a salire dal binario 21 sul convoglio 6 in partenza dalla stazione centrale. Su quel treno c’è anche una 13enne Liliana Segre.

Arriveranno il 6 febbraio 1944 ad Auschwitz dopo sette giorni stremanti di viaggio. Sarà ucciso poche ore dopo l’arrivo. In via delle Oche al civico 11 invece, mentre Forti punta la Svizzera, è ancora aperta la merceria di Diodato Gastone Sadun.

Il fondo è dello zio, Leone Camerino, ma Diodato ha 41 anni e si dà un gran da fare per aiutarlo. La sua testa però è già in Svizzera verso la quale sta organizzando la fuga col fratello. Qualcuno lo tradisce: il 13 dicembre appare in negozio il famigerato Giovanni Martelloni, commissario agli affari ebraici, che per poche lire di premio si porta via la sua vittima. Diodato Gastone viene deportato ad Auschwitz il 30 gennaio del 1944.

Gli toccheranno quattro mesi d’inferno ai lavori forzati in una miniera di carbone e poi la morte il 31 ottobre del 1944. Il treno che trasporta Liliana Segre e Giulio Forti, nella sua pancia, ha altre vite. Quelle di Annetta Disegni Vogelmann e di sua figlia Sissel: hanno 39 e 10 anni e vivono al civico 3 di via Manin a Campo di Marte. La retata del ghetto di Roma li convince a scappare: pianificano la fuga col padre Schulim verso Sondrio. In quella città saranno arrestati tutti e tre il 20 dicembre 1943.

Vengono imprigionati a villa La Selva a Bagno a Ripoli, requisita al suo proprietario, l’ebreo Silvio Ottolenghi, emigrato in Palestina in seguito alle leggi razziali del 1938 e trasformata in campo d’internamento.

Un mese dopo la famiglia viene fatta salire sul treno che il 30 gennaio 1944 parte dalla stazione di Milano. Il binario è sempre quello di Giulio Forti e Liliana Segre: il 21. Saranno separati all’arrivo. La piccola Sissel morirà nella camera a gas il giorno stesso, con lei anche la madre Annetta. Schulim invece ha 41 anni: è anziano per i criteri di Auscwhitz.

Ma dai documenti risulta Buchdrucker Meister, un tipografo. E ai nazisti, può essere utile. Lo risparmiano e spediscono nel campo di Plaszow dove si stampano sterline false. L’obiettivo dei nazisti: inflazionare la Banca d’Inghilterra e pagare le spie a Londra. Qui l’uomo che parla il polacco e viene a conoscenza della lista Schindler. Ci finirà dentro insieme ad altri mille ebrei: sarà l’unico italiano a essere messi nell’elenco. E a salvarsi. Ma la sua storia è urlata lo stesso dalle voci d’ottone sui nostri marciapiedi insieme a quelle di altre 136 pietre. Calpestatele. Inciampate nel dolore della storia.