ANDREA SETTEFONTI
Cronaca

"Il mio viaggio da Bologna a Firenze, un inferno durato 5 ore"

La testimonianza del nostro giornalista che si è trovato nel caos dell'Autostrada A1

Caos sull'autostrada A1

Firenze, 9 luglio 2021 - L’inferno ha i colori dell’A1 tra Bologna e Firenze, 80 chilometri da incubo in una notte afosa di piena estate. Riparto dall’aeroporto Marconi di Bologna poco prima di mezzanotte. Mio figlio non fa in tempo a mettersi in macchina che già dorme. Io pregusto che di lì a poco, meno di un’ora, sarei stato a casa: una bella birra fresca e poi a letto dopo una giornata iniziata alle 5 di mattina. Mi lascio alle spalle le luci di Bologna quando imbocco l’A1 in direzione Firenze.

Tutto tranquillo, niente lascia presagire la bolgia che avrei trovato dopo qualche chilometro. L’auto corre tra i camion e i pochi automobilisti frenetici. Fino a Sasso Marconi la notte è stellata e non fa paura. Poi all’improvviso, un pannello luminoso segnala l’obbligo di prendere la Panoramica perché la Direttissima è chiusa: neppure un senso di marcia aperto, un furgone di Autostrade e transenne ne bloccano l’accesso. Non c’è scelta. Va beh, è l’occasione per ritrovare un’amica di tanto tempo fa, lasciata e mai dimenticata.

Ma nell’incontro non c’è niente di romantico. Già dopo un paio di chilometri primo cantiere, poi la deviazione. Quindi altri cantieri e altre deviazioni. Mi tocca stare dietro rombanti e fumanti autotreni alle prese con slalom improponibili. Non si riesce a fare più di 70 chilometri orari. A Roncobilaccio sembra l’ingresso ai box di Formula 1 con la speed trap tra muri di jersey e guard-rail. Si scolletta l’Appennino a 50 chilometri orari, dall’altro lato, nella corsia Nord. Mi chiedo dove sia finito il traffico proveniente da Firenze, visto che ci fanno viaggiare in direzione opposta e non ci sono cambi di carreggiata. Una domanda alla quale non riesco a dare una risposta mentre la mente continua sentire il suono della birra mentre la stappo.

«C’è poco ormai», mi dico mentre scendo verso la Toscana: Barberino, Calenzano, poi Firenze Impruneta, poi casa. E invece è l’incubo. Dietro una delle tante curve ecco un altro pannello luminoso: “Chiuso tratto tra Barberino e Calenzano, uscita obbligatoria Barberino”. Non riesco a credere a quanto leggo, non voglio crederci. Ma la realtà mi piomba davanti al muso della macchina qualche metro dopo. Traffico bloccato, tutti coda quando siamo a 7 chilometri da Barberino e sono le 1.30 di notte. È un muro di camion, inaccessibile, colorato da luci rosse e bianche dei led e dei neon usate per il tuning degli automezzi. Ma non bastano a illuminare il buio di quell’inferno sempre più nero metro dopo metro. Tutti fermi, poi ogni tanto si avanza, come la speranza. Qualche camionista sopraffatto dal sonno viene sorpassato nonostante i birilli dicano che non si possa fare, anche io seguo l’esempio del camionista che ha provato a svegliare il collega a colpi di clacson.

Sono le 2.30 quando si arriva al casello di Barberino. Qui il primo segno di vita umana, un poliziotto che spunta dal buio, col cellulare in mano a dare disposizioni: non ha la pettorina, è quasi invisibile, temo per la sua vita. Lentamente metro dopo metro, pago il pedaggio e mi ritrovo sulla provinciale 8. Nessuna indicazione per il percorso alternativo, nessuno a cui chiedere. Certo, non sarà facile sbagliare, si va tutti nella stessa direzione: ma se il primo sbaglia, si sbaglia tutti. Mentre inizio a calcolare i tempi di percorrenza, quanto mi separa dalla birra, la provinciale è una bolgia di motori, gas di scarico, luci abbaglianti. Si procede a rilento, molto, a tratti ci ferma. Non capisco perché. Poi tutto diventa chiaro quando due autotreni provano a scambiarsi in curva. Non ci passano, se non al millimetro e c’è da porre massima attenzione. E allora la fila riparte e si riferma. Croci di Calenzano è soffocata dai gas si scarico, la sp 8 è un fiume di gomme e odore di gasolio che rimane nel naso.

Si riparte, le rotonde prima di Calenzano sono ostacoli per le manovre degli autoarticolati. Allora ci si riferma. Una ragazza in scooter timidamente si affaccia e entra, prova a superare, desiste al primo tentativo, sta dietro al camion che la precede a respirare smog. Si prosegue. Calenzano, nessuno a cui chiedere conforto mentre i cartelli stradali indicano la distanza da Firenze, prima in 15 chilometri e poi 17: anche la segnaletica è in confusione. Finalmente Calenzano, mi dico, il casello sarà vicino. E invece rischio di perdermi dentro Capalle. Seguo gli altri, ma il gregge non va nella mia direzione. Ad una rotonda una pattuglia di carabinieri, esausti che non riescono a rispondere alla mia domanda sulla direzione da seguire, l’ennesima per loro, se non con un generico «verso Firenze». Poi quasi per magia, si materializza il casello di Calenzano, appare tra le luci dei tir che bucano come spilli le pupille stanche da stress, tensione e sonno, e lo smog dei gas di scarico. Non riesco a crederci. Prendo il biglietto ed è libertà, è fine dell’incubo. Sono le 4.20 quando posso tornare a pregustare il suono della bottiglia di birra stappata. E dopo 24 ore, andare a dormire.