FRANCESCO MARINARI
Cronaca

Il paziente 1, gli ospedali in prima linea: Covid, un libro racconta quando cominciò tutto

E' uscito un libro scritto da Raffaele Bruno, Direttore della Clinica di Malattie Infettive al Policlinico San Matteo di Pavia insieme a Fabio Vitale, giornalista di Sky Tg 24

Mattia Maestri, il primo paziente Covid italiano

Firenze, 11 dicembre 2020 - Erano giorni confusi. Giorni nei quali guardavamo alla tv la malattia aggredire la Cina. E pensavamo che il coronavirus, in Italia, non sarebbe mai arrivato. Non sapevamo che di lì a poco le nostre vite sarebbero state stravolte.

E che tanti di noi avrebbero perso i propri cari. Quei giorni, tra la scoperta dei primi casi e l'enorme responsabilità del personale sanitario, che doveva curare una malattia che non conosceva, sono raccontati in un libro.

Il dottor Bruno
Il dottor Bruno

Si chiama "Un medico. La storia del dottore che ha curato il paziente 1", editore HarperCollins, disponibile nelle librerie e in tutti i principali store virtuali di libri. E' un volume agile ma che travolge quello scritto da Raffaele BrunoDirettore della Clinica di Malattie Infettive al Policlinico San Matteo di Pavia insieme a Fabio Vitale, giornalista di Sky Tg 24. Erano i giorni tra febbraio e marzo e l'Italia stava per piombare nel suo primo lockdown. Da allora, tanti lutti, tante vittorie ma anche tante sconfitte nella battaglia quotidiana dell'Italia contro il virus. 

Fabio Vitale di Sky Tg 24
Fabio Vitale di Sky Tg 24

Proprio il dottor Raffaele Bruno fu il primo a dover combattere con il virus. Fu lui appunto a curare Mattia Maestri, il "paziente 1", il primo contagiato italiano da covid. Che fu ricoverato al San Matteo di Pavia. Che andò in terapia intensiva. Ma che adesso è tornato alla vita normale, pur avendo perso a causa del coronavirus il padre. 

"L'idea del libro nacque per caso - dice Fabio Vitale, tra l'altro conduttore in quelle settimane di lockdown di un tg dal proprio salotto, SkyTg24 - Sky a casa - In quei giorni a Sky il professor Bruno era spesso ospite dei nostri tg. Parlando, spuntò fuori l'idea di mettere su carta, di raccontare un momento storico, inedito, della storia d'Italia come è il contagio. Volevamo raccontare non solo la storia del paziente uno ma ciò che non vediamo dietro un camice bianco. Il dottor Bruno, avendo un ruolo dirigenziale, ha sempre dovuto mostrare il lato più sicuro di sé dando quindi sicurezza al suo team, che era particolarmente sotto pressione. E nel libro emergono anche le fragilità del professionista, fragilità che in realtà diventano anche punto di forza". 

Che ricordi lasciano quei primi giorni così convulsi, tra la metà di febbraio e l'inizio di marzo, quando poi partì il lockdown?

"Eravamo come di fronte a un’onda anomala di 25 metri, che ci ha travolto e non potevamo trovare riparo. Sapevamo che c’era il nemico ma non sapevamo che era in casa nostra. I medici si sono dovuti industriare empiricamente, sperimentando cure mai immaginate. Noi con il nostro mestiere di giornalisti ci siamo trovati a dover raccontare qualcosa che sembrava davvero lontano. Poi arrivarono il contagio dei coniugi cinesi, il caso di Mattia e tutti i casi successivi".

Nel libro, sul paziente 1, c'è una frase che colpisce e che si diceva in quei giorni: 'Chi salva Mattia salva l'Italia intera'. Ma come sta ora Mattia?

"Mattia ha ripreso la sua vita. Pavia era in quei giorni il centro del mondo. La sorte e la vita di Mattia era legata alla sorte dell’Italia. Mattia adesso è un giovane uomo di poco meno di 40 anni che porta sulla pelle il dolore. Per i momenti difficili che ha vissuto, ricoverato in terapia intensiva e per il dolore della perdita del padre. Una serie di emozioni contrastanti, culminate con la nascita del figlio pochi giorni dopo le dimissioni dall'ospedale. Mattia ha ripreso a lavorare, a correre, ha riconquistato la sua vita di prima. E’ stato fondamentale nella scrittura del libro. Ci siamo sentiti più volte e ha instaurato un rapporto umano profondo con il professor Bruno, diventato quasi un padre per lui".

Una particolarità: nel libro sono trascritte anche le comunicazioni nella chat whatsapp dei medici del San Matteo.

"Parlando con Raffaele Bruno scopro che molti suoi colleghi stanno combattendo anche da pazienti, avendo contratto il covid in corsia, mentre curavano le persone contagiate. Nel gruppo whatsapp ognuno fa il medico dell'altro. Un gruppo che oscilla tra l'ironia e la serietà invece dei parametri vitali da controllare e di comunicazioni anche dure, come quando un medico comunica agli altri di aver perso il fratello. Anche tra quelle comunicazioni c’è la dimensione di come questo virus abbia reso più fragili tutti, anche i medici".

Tra le pagine si racconta anche la grande pressione di stampa e tv in quei giorni sull'ospedale di Pavia. Tutti volevano intervistare il professor Bruno ed era difficile arginare quella pressione. E' questo forse un modo per riflettere anche sul ruolo dell'informazione in un momento così delicato?

"Devo dire intanto che la vera sfida per me nella scrittura del libro è stata nascondermi. Sono abituato a stare in onda di fronte alle telecamere, ma per scrivere il libro dovevo nascondermi ed entrare nella testa del protagonista, il professor Bruno. Questo mi ha portato anche a un'esame di coscienza. Mi sono reso conto di come quei medici dovessero sopportare, tra le varie pressioni, anche quelle dei media che chiedevano retroscena e dettagli. Per i medici è stato un carico pesante da governare e dover gestire. Penso che il libro possa aiutare gli stessi giornalisti a fermarsi e riflettere, senza lasciarsi governare dalla velocità che oggi regola il mondo dei media". 

E' difficile immaginare quali dure prove dovessero affrontare i medici chiamati a contrastare il virus. Come ne esce la figura del medico da questa pandemia?

"I medici hanno vissuto tante vite diverse in pochi mesi. All'ospedale Sacco arrivavano messaggi di incoraggiamento, doni da tutta Italia, migliaia di mail di apprezzamento per dare supporto al personale sanitario. Ma i medici, con i loro appelli a restare a casa, a rimanere distanziati, a indossare la mascherina, sono stati a un certo punto visti come un ostacolo alla libertà, all'uscire per strada, a vivere una vita normale. Hanno dunque vissuto sulla loro pelle tanti sentimenti contrasanti". 

Cosa ci insegna questo 2020 che se ne va?

"L’emergenza ha dimostrato che nei momenti di difficoltà estrema, in questo anno così complicato, abbiamo messo in campo energie che non pensavamo di avere. E abbiamo risolto problemi irrisolvibili. L’unica arma che noi abbiamo adesso è la memoria. Spesso è un termine abusato. L’unico modo per evitare gli errori che abbiamo commesso è quello di ricordarci di ciò che è stato tutto questo, di cosa ci siamo lasciati alle spalle. Con il libro volevamo lasciare una traccia del pezzo di storia che abbiamo attraversato. In Inghilterra le immagini ci hanno mostrato la prima persona a cui è stato somministrato il vaccino anti-covid. E' una novantenne. Una vaccinazione significativa: i nostri nonni sono i più fragili e vanno difesi, ripartire da loro è importante. E sul vaccino poi non devono essere divisioni, è l'unica arma che può sconfiggere il virus".