Firenze, 18 aprile 2021 - "Non mi dimetto perché sono a posto con la coscienza". Lo dice a uno dei suoi amici più cari, Ledo Gori. Uno sfogo libero che ripete convintamente, consapevole di poter dimostrare la sua estraneità ai fatti che gli vengono contestati, all’accusa che la procura di Firenze gli muove contro: corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio. Quasi non ci crede. «Si può decidere di lasciare per mille motivi a due anni dalla pensione, ma non per questo», argomenta.
Il governatore Eugenio Giani gli ha ‘congelato’ le funzioni di capo di gabinetto della presidenza della Regione Toscana, affidandole temporaneamente al direttore generale Paolo Pantuliano. In attesa di domani, quando Giani e Gori si incontreranno. «Se mi dimissioneranno, prenderò atto della decisione, ma io so quello che ho fatto».
Dunque niente passi indietro. E’ un uomo pragmatico, riservato, Ledo Gori. Uno di quelli dalla dialettica asciutta e diretta: difficile che aggiunga parole in più, al massimo una battuta ironica per chiudere il discorso. Braccio operativo dell’ex presidente toscano Enrico Rossi, Ledo Gori è sempre stato bravo a mettere a terra la visione del politico puntellandola di quella concretezza indispensabile a darle gambe.
Un uomo di potere? Anche. «In tutti questi anni quanti sono passati di qua non certo per venirmi a salutare, ma per chiedere», dice. In qualche modo rappresentare il ruolo del vero risolutore dei problemi lo ha sempre compiaciuto, ripagandolo dei ventuno anni passati in Regione a lavorare, solo apparentemente dietro le quinte, con poche soste nel suo buen retiro di Marina di Pisa. Con la fine del doppio mandato di Rossi la stagione di Gori si poteva concludere. «Io non ho mai chiesto di restare», racconta a chi gli è più vicino. Anche se negli ultimi mesi si era un po’ autonomizzato da Rossi, cosa che al presidente non aveva fatto piacere dopo più di quarant’anni di percorso in simbiosi, dal Comune di Pontedera alla Regione Toscana, gemelli così diversi ma complementari a far funzionare il sodalizio.
Poteva andare via, Ledo Gori, poi è rimasto perché il presidente Giani lo ha confermato. In tanti avevano insistito perché lo facesse: in fondo Gori era punto di riferimento per tanti mondi, lontani e diversi, dalla sanità al sindacato, all’imprenditoria. Anche l’associazione dei conciatori aveva chiesto che il capo di gabinetto restasse al suo posto, in questo caso senza fargli un gran favore. Per Giani il rinnovo della fiducia, più che per garantire continuità, è stato funzionale al rodaggio della macchina quasi completamente rinnovata: a 66 anni, a due dal pensionamento, avrebbe potuto dare molto senza pretendere troppo. Anche se molti assessori prima lo avevano sofferto, per averli privati di un pezzo di palcoscenico.