
La presentazione del Rapporto in Regione Toscana
Firenze, 10 dicembre 2019 - Una terra di conquista, dove fare affari senza farsi troppo notare. È così che le cosche mafiose considerano la Toscana, secondo il Rapporto (anno 2018) sui fenomeni di criminalità organizzata e corruzione, curato dalla Scuola Normale di Pisa per la Regione. Uno studio, alla terza edizione, presentato stamani a Firenze, alla presenza del generale Giuseppe Governale, direttore della direzione investigativa antimafia (Dia), del presidente della Regione Enrico Rossi, dell’assessore regionale Vittorio Bugli e del prefetto di Firenze Laura Lega. A illustrare i dati sono stati gli stessi curatori del rapporto: Donatella Della Porta e Salvatore Sberna per la Scuola Normale Superiore e Alberto Vannucci per l’Università di Pisa.
«Piuttosto che colonizzare – è stato spiegato – le mafie preferiscono esternalizzare a gruppi autoctoni o mimetizzarsi. Vogliono ‘fare impresa’ e la strada più battuta è quella di mettersi al servizio del mercato attraverso l’esercizio abusivo del credito, l’erogazione di servizi illeciti che portano a reati tributari ed economici o ancora proponendo attività illegali nei campi dell’intermediazione del lavoro e del ciclo dei rifiuti».
Le quattro mafie storiche continuano a non avere insediamenti stabili in Toscana, ma ci sono sempre più tracce di una crescita di gruppi organizzati. Nel complesso, il numero delle condanne definitive per associazione mafiosa resta stabile, ma c’è un aumento del rischio di criminalità. Lo testimonia l’alto numero di denunce per estorsione e riciclaggio, oltre che di attentati e gesti intimidatori. Rimangono alte, rispetto al Centro Nord, anche le denunce con aggravante mafiosa, mentre diminuiscono quelle per contraffazione, rapine in banca, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, vendita di droghe e stupefacenti.
Scendendo nel dettaglio delle singole province, Prato resta prima in Italia per numero di persone denunciate per riciclaggio, mentre Livorno ha il primato nazionale di cocaina sequestrata. Qui, nel 2018, sono stati intercettati ben 530 chili di cocaina (su 589 recuperati in tutta la regione) con un picco che ha portato l’intera Toscana al terzo posto nella classifica nazionale, dopo Veneto e Lazio. Prato conquista invece il primo posto nella regione per produzione di marijuana, con 17mila piante sequestrate negli ultimi dieci anni. Sommando poi i vari indicatori, Grosseto, Livorno, Prato e Massa si confermano le province col più elevato rischio di penetrazione criminale.
In aumento i beni confiscati alla criminalità organizzata in Toscana: senza calcolare i provvedimenti dall’esito ancora incerto, si tratta di 572 immobili, distribuiti in 67 comuni, ovvero sul 23% del territorio regionale. Di questi, 145 sono quelli già destinati a nuovi usi, come la tenuta di Svignano (Siena), assegnata alla Regione Toscana. La matrice camorristica è la più ricorrente, con quasi il 40% dei beni, seguita da Cosa nostra (11,5%) e ’ndrangheta (6,2%).
E la nuova mafia “che c’è ma non si vede” è sempre più attiva anche in settori insospettabili. Aumentano i ‘colletti bianchi’ con i relativi crimini: crescono del 150% le malversazioni, raddoppiano i reati di concussione, sono in aumento del 67% gli abusi di ufficio e del 37% i reati societari. Nell’analisi degli episodi del 2018 emerge come, accanto ad imprenditori (29 casi) e funzionari o dirigenti pubblici (21 casi), in 17 casi su 38 siano coinvolti professionisti come avvocati, commercialisti, ingegneri, architetti, geometri, ragionieri, medici, ma anche intermediari e faccendieri. Perché è proprio fra questi professionisti che le mafie stanno cercando con forza di inserire personaggi chiave, ai quali poter fare riferimento per il loro business.
Lisa Ciardi