Firenze, 18 gennaio 2024 - È stata la Sala Monumentale della Biblioteca Marucelliana ad ospitare ieri pomeriggio un evento culturale particolare quanto gremito di interessati, dedicato a discipline solo apparentemente distanti tra loro come l’arte, la scienza e la religione. L’occasione è statala presentazione del libro “I tormenti di Marianna De Leyva, la Monaca di Monza”, ossia un racconto storico in forma di monologo raccontato dalla penna di Alba Gaetana Avarello. Tre i relatori che hanno affiancato l’autrice, in un percorso di continuo accostamento a “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni e alle sue precedenti stesure, per poi evidenziare l’apporto del libro di Avarello, per l’originalità e l’interesse offerti al lettore di oggi. La dottoressa Gloria Vannini, neuro psichiatra infantile, ha infatti fatto un excursus storico sull’emancipazione femminile dal patriarcato; al dottor Claudio M. Tartari, storico milanese, il compito di analizzare la figura di Giampaolo Osio, ossia l’amante della Monaca di Monza; don Carmelo Mezzasalma ha sottolineato infine il rapporto dell’uomo con Dio nella fede e nei periodi di crisi, nonché la relazione tra peccato e redenzione nella religione cristiana. Contributi artistici alla serata sono stati offerti dalle note musicali dell’arpa celtica di Anna Maria De Vito, dalla recitazione di alcuni brani del libro a cura degli attori Filippo Frittelli e Ludovica Rio e dalla realizzazione estemporanea di quadri da parte del pittore fiorentino Enrico Guerrini, inerenti al contenuto del volume stesso. “Realmente esistita – sono le parole dell’autrice – la vicenda della Monaca di Monza fece tale scalpore e scandalo che la Chiesa per più di due secoli tenne secretati gli atti del processo fatto a suo carico. Figura tragica, non melodrammatica, sentiamo in lei l’angoscia della perdizione spirituale. Non a torto molti studiosi manzoniani ritengono che la parte più vitale ne “I promessi sposi” non sia tanto la storia dei fidanzati divisi e ricongiunti, quanto il romanzo nero della Monaca di Monza. Manzoni però nell’ultima stesura ridusse i sei capitoli in due. “Chi vuole approfondire – scrisse – cerchi la V decade della Historia patria di G. Ripamonti.” Ecco, la “mia” monaca di Monza può risultare interessante perché finalmente è stata “guardata” da una donna. L’ho fatta “parlare” e mi sono accorta che la sua storia ha rimandi, risvolti, implicazioni, che sono ancora attuali; uno, ad esempio, di ordine psicologico, a proposito dell’azione manipolatrice operata, oggi più che mai, sulle giovani menti. Sono stata catturata dal suo percorso di degenerazione morale prima, e di salvezza poi. Scrive Manzoni in una Lettera del 1823 al Sig. Chauvet (critico letterario francese): “Al poeta viene richiesto di penetrare con immaginazione e simpatia la superficie dei fatti (…) di indagare dall’interno, descrivendo tutto ciò che la volontà umana ha di forte, di misterioso, e la sventura di religioso e di profondo”. Personalmente – conclude l’autrice -, non solo con simpatia, ho “seguito” nel mio libro, la monaca di Monza, ma con empatia; talvolta sentendomi dentro alle emozioni di lei, mi è parso di intuire quando è iniziato il suo processo di risalita dall’abisso: davanti al figlio nato morto, Marianna de Leyva, la monaca di Monza sente che bisogna dargli dignità e non ignorarlo. Si accorge che più di lei, portatrice di una ferita di ingiustizia, il figlio è una vittima. Condannata, murata viva, sopravvissuta, liberata dopo 14 anni, le fu trovata addosso una ciocca di capelli di infante che ella tenne con sé fino alla morte.” Per questo Avarello ha deciso di devolvere il ricavato del libro al Centro Aiuto alla Vita di Firenze, rappresentato in sala dal presidente nazionale Angelo Passaleva.
CronacaLa Monaca di Monza nella Sala Monumentale della Biblioteca Marucelliana