LISA CIARDI
Cronaca

"La storia di Reagan ci insegna come ripartire dopo una grande crisi"

Il giornalista Gennaro Sangiuliano, direttore del Tg2 Rai, ripercorre in un volume vita privata e carriera politica del presidente Usa

Gennaro Sangiuliano con il suo ultimo libro

Firenze, 12 febbraio 2021 - Quarant’anni fa, nel gennaio del 1981, Ronald Reagan diventava il quarantesimo presidente degli Stati Uniti. Nell’anniversario di quella data e a 110 anni dalla sua nascita (il 6 febbraio 1911), Gennaro Sangiuliano ha pubblicato per Mondadori "Reagan, il presidente che cambiò la politica americana", un libro che ripercorre la biografia di “Gipper” (come lo chiamavano affettuosamente gli americani), dall’infanzia in una minuscola cittadina dell’Illinois fino all’ascesa alla Casa Bianca e ancora agli ultimi anni di malattia prima della morte. Giornalista e scrittore, direttore del Tg2 Rai e della scuola di giornalismo dell’Università di Salerno, titolare del corso di Storia dell’economia all’Università Luiss di Roma, Sangiuliano è già autore di numerose biografie, dedicate ai grandi della storia. 

Perché scrivere oggi un libro su Reagan? 

«Amo scrivere biografie e ne ho già pubblicate diverse dedicate fra gli altri a Hillary Clinton, Trump, Putin e Xi Jinping, perché penso che per capire la politica e la storia se ne debbano conoscere i protagonisti. La scelta di Reagan è legata anche al doppio anniversario di quest’anno. È poi è una storia che incarna il sogno americano del ‘self made man’: le origini umili, con un padre in difficoltà economica, dedito all’alcol, e una madre religiosissima, l’ingresso al college per meriti sportivi, la carriera di telecronista e l’arrivo a Hollywood, fino a diventare leader del potente sindacato degli attori. Infine l’ingresso in politica, l’elezione a governatore della California e l’approdo alla Casa Bianca».

Il sottotitolo del libro è “il presidente che cambiò la politica americana”. Quali sono stati i suoi meriti?

«Sul piano politico ha rilanciato l’economia americana che a fine anni Settanta era profondamente depressa, con un’inflazione e una disoccupazione altissime. Con le sue politiche di mercato è riuscito a disincagliare gli Usa con risultati oggi unanimemente riconosciuti. In secondo luogo è stato capace, come disse Margaret Thatcher, di ‘vincere la Guerra Fredda senza sparare un colpo’, avviando un percorso che avrebbe condotto allo smantellamento dell’Unione sovietica. Il terzo merito è aver portato l’ottimismo in politica».

Reagan è tuttora il ‘convitato di pietra’ in tanti confronti politici: quali messaggi sono sempre attuali?

«Oggi è unanimemente considerato un grande presidente e viene spesso citato nei dibattiti. Nel 2008 fu protagonista di un diverbio tra i due principali candidati democratici alla Casa Bianca, perché Barack Obama manifestò grande ammirazione per Reagan, mentre Hillary Clinton si mostrò meno entusiasta. La parte più attuale della sua visione è l’idea che le tasse siano importanti ma non debbano superare un certo limite, pena il rischio di soffocare l’economia».

L’idea di rendere l’“America di nuovo grande” accomuna Reagan a Trump, eppure sembrano lontanissimi. Cosa li divide?

«Sono figure del tutto diverse. Reagan aveva grande rispetto delle istituzioni. Era fin troppo formale: era capace di passare ore a incontrare i senatori per seguire le liturgie democratiche. Va anche detto che negli anni di Reagan la famiglia Trump era democratica e che Trump è arrivato come un ciclone mentre Reagan, all’ingresso alla Casa Bianca, aveva già oltre 20 anni di esperienza politica».

Dopo l’assedio a Capitol Hill o le accuse di brogli da parte di Trump, gli Usa sono ancora un esempio mondiale di democrazia?

«La democrazia americana è profonda, è ancora quella descritta da Alexis de Tocqueville. Certo all’epoca di Reagan il mondo era bipolare, mentre ora è multipolare: allora c’erano il blocco occidentale e quello sovietico; oggi ci sono gli Usa ma anche la Cina, la Russia, l’India e l’Unione Europea. È più complesso ritagliarsi un ruolo, ma il peso degli Stati Uniti e della loro democrazia restano: starà ora a Biden valorizzarli».

Da esperto di politica e storia americana come legge il ruolo dei social network nelle ultime elezioni?

«La lotta alle fake news è sacrosanta, ma bisogna fare attenzione: la sfida è contemperare la salvaguardia della verità storica dei fatti con la difesa della libertà di pensiero che è funzionale alla democrazia, ovvero indispensabile affinché i cittadini elaborino una propria opinione e possano decidere».

Quali saranno le prime sfide della presidenza Biden?

«La prima è la definitiva sconfitta del Covid con la sua eredità: la pandemia ci insegna che occorre prevenire altri episodi simili, perché non è affatto escluso che si possano verificare. Il mondo deve organizzarsi e gli Usa avranno un ruolo importante. C’è poi la sfida della Cina: in questo Biden ha una politica simile a Trump, nel senso che è consapevole dell’esistenza di un piano di azione egemonico della Cina. Infine c’è la necessità di costruire un rapporto più collaborativo con l’Europa. Sono tre asset strategici non solo per gli Stati Uniti ma per il mondo intero».  

La politica di Reagan e il suo approccio possono ancora insegnarci qualcosa per la ripartenza post Covid?

«Ci insegnano l’importanza di avere fiducia negli uomini e nelle donne, nel mercato e nelle imprese. L’idea di un grande risveglio della società che caratterizzò Reagan è ancora attuale. E oggi, come allora, per ripartire servirà una carica di ottimismo e di energia».

Lisa Ciardi