
Ledo Gori, ex capo di gabinetto della Regione Toscana
Firenze, 7 gennaio 2023 - Gori vuole subito togliersi un dente, davanti ai pm: la storia della sua riconferma a capo di gabinetto, ricoperto prima con Enrico Rossi, poi con Eugenio Giani, e pensionato in fretta e furia con l’esplosione dell’inchiesta. "I conciatori dicono che mi hanno proposto e che io ho accettato di, come dire, proporre al Giani la mia conferma a capo di gabinetto. Io con loro di questo non ho mai parlato: mai mi hanno detto qualcosa e mai ho accettato". "Giani - aggiunge - non mi ha detto di questo qui, nulla. E’ venuto da me Paolo Becattini, suo capo di gabinetto in consiglio e mi disse: ’Ledo, sei disponibile?’. Perché chiaro che andando in campagna elettorale io ero abbastanza conosciuto e tanta gente chiedeva la disponibilità di Ledo. Devo essere sincero, io a Paolo dissi: ’Io sono disponibile, ma vorrei che tu facessi il capo di gabinetto. Io ti do una mano per un anno come consigliere e poi mi levo dalle scatole’ perché ero con Enrico, insomma, di un’altra partita. Lui mi disse: ’Decide il Giani’".
"Durante la fase delle elezioni, post elezioni, in quei giorni lì - racconta ancora Gori - viene il Giani con il Becattini nella mia stanza e mi dicono, dice il Becattini: ’Quello che dice il Giani è condiviso’. Bene. E il Giani dice: ’Ledo, proporrei che tu rimanessi a fare il capo di gabinetto perché in campagna elettorale me l’ha chiesto mezza Toscana’. Va bene, rimango a fare il capo di gabinetto. Io non ho chiesto niente a Giani, non ho chiesto niente ai conciatori, come non ho chiesto niente a tessili o a cavatori, con chi ho avuto rapporti, insomma, onestamente".
I conciatori. "Con Piero (Maccanti, direttore dell’associazione conciatori, ndr) ho sempre avuto un rapporto, assolutamente. E fra l’altro, in campagna elettorale gli ho proposto iniziative elettorali e quando c’aveva un problema, Piero alzava il telefono e diceva: ’Ledo, c’ho questo problema’, ’Vieni, parliamone’. Però poi, al di là.. sì, alla cena annuale che facevano dei conciatori sono andato più di una volta, non una volta sola, più di una volta, questo sì, però poi l’ambiente è sempre quello del lavoro, loro erano conciatori, io rappresentavo la Regione".
L’emendamento. Secondo la Procura, Gori avrebbe avuto un ruolo di ’regia’ nell’approvazione dell’emendamento caro ai conciatori. L’ex capo di gabinetto riavvolge il nastro. "Finisce il 2016, scade l’accordo di programma. L’accordo di programma era del 2004, fatto col Ministero. Scade questo accordo, i conciatori vengono e dicono: ’Guardate i limiti tabellari che son previsti nell’accordo noi li superiamo. Bisogna trovare una soluzione’. Io provo a trovare una soluzione con il Ministero, Gaia Checcucci direttrice. Poi la Gaia, per una serie di motivi non viene riconfermata, io perdo il riferimento, con il Ministero non ci si fa più niente. Bene, allora si cerca di capire quale può essere la soluzione. Loro paventano ricorsi, perché vogliono il rinnovo dell’Aua (Autorizzazione unica ambientale, ndr), e i nostri dirigenti invece dicono: ’No, ci vuole l’Aia’ (Autorizzazione integrata ambientale, ndr). Per cui viene fuori la Dia postuma (forse intende la Valutazione impatto ambientale, ndr) e tutta una serie di procedimenti. A un certo punto i conciatori, scritta dall’avvocato Benedetti, ci mandano a noi un testo, proprio carta intestata Associazione Conciatori, ci mandano un testo con una proposta di emendamento di questo benedetto articolo 13. Io la giro a Edo Bernini, direttore dell’Ambiente, e gli dico: ’Edo, sono accoglibili?’".
Questo avviene nel 2018. Dopo gli dico: ’Oh, Edo, ma quell’emendamento?’. Lui mi scrive, formalmente mi dice: ’Caro Ledo, questi qui non stanno né in cielo né in terra. Non esiste. L’unica cosa, se vogliano fare, fanno un emendamento alla legge, io non mi oppongo, però un me la mandate a me perché gli uffici son contrari’".
Dunque l’emendamento si sarebbe scontrato con un parere tecnico. L’escamotage è far partire l’approvazione da un consigliere "perché la giunta non l’avrebbe fatto", precisa Gori.
"Io - prosegue - da qui, in qualche riunione, ho detto: ’Si può trovare un consigliere, posso trovarlo anch’io un consigliere’. Pensavo alla prima commissione perché è la Commissione dove fanno gli atti, in maniera tale che lo portano in commissione e vedono se va in aula. E parlai con Pieroni (il consigliere Pd accusato di corruzione elettorale, ndr) di questa cosa. Pieroni disse: ’No, ma che commissione, si porta direttamente in aula sennò ci creano problemi’".
La cena. "L’emendamento, tra l’altro, devo essere sincero, viene fuori anche da una cena fatta a Santa Croce. A questa cena io non ho partecipato". "E chi c’era?", gli chiede il pm Monferini. "C’era Giani, c’era Mazzeo, c’era Pieroni, c’era Nardini. C’erano tutti". "Quindi erano tutti d’accordo?". "C’erano tutti. Io non c’ero".