
Domani l’approdo in consiglio regionale del documento moltro discusso. Parla Malacarne, il medico che ha assistito nel percorso il primo toscano.
"Ho grande rispetto per i medici che, per motivi di coscienza, non praticano il suicidio assistito. Lo vorrei però anche per chi, come me, sempre per motivi di coscienza, non intende abbandonare i malati alla sofferenza". Paolo Malacarne, ex primario di terapia intensiva del policlinico di Pisa, ha assistito, nel 2023, l’unico paziente toscano che abbia, al momento, portato a termine il suicidio medicalmente assistito a seguito della sentenza 242/2019 della Corte costituzionale.
Ci racconta il percorso che avete vissuto?
"Il paziente ha chiesto di morire rivolgendosi alla commissione della Ausl Toscana Nord Ovest. Questa, sentito il Comitato etico, ha dato parere favorevole, perché ricorrevano i quattro criteri previsti dalla sentenza della Corte: essere tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale, avere una patologia irreversibile, fonte di sofferenze intollerabili, essere capace di prendere decisioni libere e consapevoli. Mi ha quindi cercato e abbiamo avuto una relazione di cura e fiducia durata diversi mesi. Ho infine acquistato con una mia ricetta i farmaci necessari, che la persona si è auto-somministrata. Le sono stato accanto fino agli ultimi istanti. Mi ha salutato con un sorriso".
Cosa le ha lasciato quell’esperienza?
"La convinzione che esiste sì un piano giuridico, ma anche e soprattutto un piano umano, di relazione. Vorrei un diritto che non entrasse a gamba tesa nelle sofferenze delle persone, ma che lasciasse ai medici la relazione di cura col paziente e la sua famiglia. Quell’esperienza e altri due casi che sto seguendo attualmente mi hanno aiutato anche a mettere a fuoco gli aspetti critici, dai quali nasce la recente proposta di legge".
Quali sono?
"La sentenza della Corte indica quando l’aiuto al suicidio medicalmente assistito non è perseguibile, ma non la procedura. Non dice i tempi in cui commissioni Ausl e Comitati etici devono rispondere, né specifica chi deve fornire e pagare i farmaci (alcuni di uso ospedaliero) o le attrezzature per compiere questo atto di cura, perché tale lo ritengo. Come vede non si tratta di esprimersi sul fine vita, né di definire una casistica, aspetti questi già affrontati dalla Corte costituzionale. Serve solo chiarire un iter amministrativo che oggi ognuno definisce a modo suo".
C’è chi teme l’istigazione al suicidio. Che ne pensa?
"Nella mia esperienza, chi affronta l’iter per il suicidio medicalmente assistito è talmente motivato che non esiste il dubbio di istigazione. Si tratta di persone che, pur essendo confortate dai loro cari, non vogliono più affrontare una quotidianità di sofferenza, che li vede dipendere da macchinari e cure invalidanti, in malattie irreversibili".
Altra obiezione: ci sono le cure palliative.
"Appena uscì la sentenza fu proprio la Società italiana di cure palliative a precisare che queste sono diverse dal fine vita e che una cosa non esclude l’altra. Dunque chi fa un’affermazione del genere o non ha mai visto un malato grave o è in malafede".
Lei è cattolico. come vive la posizione della Chiesa?
"Un credente può anche essere contrario al suicidio medicalmente assistito, benché personalmente io non lo sia, ma dato che la società è fatta anche di non credenti, bisogna lasciare aperto uno spazio di mediazione legislativa. Non sono io a dirlo, ma la Pontificia Accademia per la Vita che recentemente si è espressa sul tema. Per non citare le posizioni di un teologo come Hans Küng sul fatto che la vita è stata posta da Dio in mano alla responsabilità dell’uomo. È suo il diritto e il dovere di gestirla con coscienza".