Marcello Mancini
Cronaca

Musei, innovazione senza portafoglio

La lettera - Risponde Marcello Mancini

L'editorialista de La Nazione Marcello Mancini

Firenze, 6 settembre 2015 - Caro Mancini, sono curioso di vedere i risultati dell’avvicendamento dei soprintendenti stranieri alla guida dei nostri principali musei. Per ora solo tanto rumore.

Alessandro B., Sinalunga

IL CAMBIAMENTO è lento e, a naso, sembra di capire che non sia scontato. Ci sono ricorsi in sospeso che mettono in discussione tempi e costituzionalita’ del provvedimento che distribuisce forze straniere, una specie di “caschi blu”, a gestire il patrimonio artistico del nostro Paese. Al coro prevalente di consensi, espresso dall’opinione pubblica, verso l’apertura agli studiosi tedeschi e francesi, è comprensibile che si contrappongano le barricate dell’establishment casalingo dei beni culturali. Con qualche ragione e qualche punto a sfavore.

La ragione sta nel sostenere che illustri esperti d’arte vissuti all’estero valgano scientificamente come i nostri soprintendenti e in più non abbiano la preparazione sul campo, maturata da chi è cresciuto all’interno della macchina museale italiana e ne maneggia pregi e difetti.

Il “torto”, se cosi’ si può definire, è nel non aver superato i limiti manifestati dalla scuola italiana, cioè aver mantenuto una visione polverosa e poco innovativa nella gestione del patrimonio. Penso al merchandising e ai book shop, vissuta da noi a lungo come la profanazione di un tempio, una mercificazione della cultura. Basta confrontare il coraggio francese di costruire l’immenso supermercato sotto il Louvre e la timida apertura dei piccoli negozi di gadget ricavati senza enfasi in molti musei italiani.

E’ stato l’estremo sforzo - magari inconsapevole - di opporsi alla globalizzazione e di mantenere la cultura in una torre eburnea, che garantisce il fascino ma non paga gli stipendi dei custodi. Credo che le intenzioni del governo non siano figlie di una improvvisa (e improvvida) esterofilia, né una bocciatura di generazioni di scienziati dell’arte affondati con il loro karma, quanto piuttosto rappresentino il tentativo di allargare il concetto di studioso a quello di manager e di creare una palestra nuova per futuri dirigenti, preferibilmente giovani italiani.

Il problema è che il destino del progetto per ora è legato a ricorsi e incertezze di legittimità. Le grandi Gallerie continuano ad essere guidate dai vecchi direttori sfiduciati e “senza portafoglio”. Il rinnovamento rischia di essere pagato con la paralisi. Un’altra surreale storia italiana.

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